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Gli antichisti italiani e la Grande Guerra

Elvira Migliario, Leandro Polverini (a cura di)
Milano, Le Monnier, 240 pp., € 21,60

Anno di pubblicazione:

Il 21 e il 22 maggio del 2015, a cento anni dall’intervento italiano nel primo conflitto
mondiale, si è svolto presso l’Università di Trento un convegno dedicato al rapporto tra
antichisti italiani e Grande guerra. Molti degli interventi presentati nell’ambito di quelle
giornate sono stati pubblicati nel volume che qui si recensisce, dando origine a un lavoro
organico, ben curato e certamente originale nel panorama storiografico italiano.
Il testo si inserisce non solo nel grande filone di ricerche dedicate al primo conflitto
mondiale, che da alcuni anni si è imposto in Italia, ma anche in quello – più circoscritto,
ma ormai decisamente fortunato – sul rapporto tra cultura antichistica e storia e politica
contemporanee. Com’è noto, la riflessione sull’uso (e l’abuso) dell’antichità nel XIX e nel
XX secolo è stata introdotta in Italia a metà degli anni ’70 dal filologo classico Luciano
Canfora e dai suoi allievi, per ottenere un indiscusso successo anche nel campo degli studi
contemporaneistici soltanto agli inizi degli anni ’90 grazie ai lavori di Emilio Gentile.
Alcuni anni dopo è stato ancora una volta un antichista, Andrea Giardina, a ridare definitivo
vigore al tema, che da qualche anno è affrontato con nuove e interessanti prospettive
anche da storici dell’architettura e da urbanisti.
Il volume, curato da Elvira Migliario e Leandro Polverini, restituisce una equilibrata
sintesi di impostazioni metodologiche provenienti da ambiti antichistici, contemporaneistici
e politologici, illuminando soprattutto il cruciale rapporto tra intellettuali italiani e
tedeschi instaurato nel corso del XIX secolo, che fu messo in crisi dallo scoppio del conflitto
e dall’ingresso italiano in guerra. Tedesca era infatti la tradizione di studi storici e filologici
degli antichisti dell’Italia postunitaria: personaggi come Beloch, De Sanctis, Pais,
Bonfante, Ciccotti (sono solo alcuni nomi tra i tanti che vengono evocati in questi contributi)
si schierarono appassionatamente su posizioni neutraliste o interventiste, in base
a personali convincimenti etici e politici non sempre conciliabili con il proprio percorso
intellettuale. Diverso fu il caso degli archeologi, che per lo più auspicarono l’ingresso in
guerra inserendosi in un già radicato clima di espansionismo imperialista alimentato dalle
grandi campagne archeologiche all’estero finanziate negli ultimi due decenni dell’800. Un
caso particolare fu rappresentato dagli intellettuali dell’area di confine trentina, giulianoveneta
e istriana, che negli studi antichistici trovarono una giustificazione culturale e materiale
alle proprie aspirazioni irredentiste – e quindi alle proprie posizioni interventiste.
A questi aspetti il volume dedica ben quattro saggi, con una scelta che si ritiene felice e
necessaria.
Il libro si chiude con un contributo di Pombeni che riflette sul peso avuto nella storia
d’Italia dall’intreccio tra mito della latinità e politica, ricordando come la vicenda della
Grande guerra fu prodromica a quella – ben più nota – del mito fascista della romanità.

Paola S. Salvatori