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Gli Stati Uniti e il Risorgimento in Italia. 1848-1901

Daniele Fiorentino
Roma, Gangemi, 363 pp., € 25,00

Anno di pubblicazione: 2013

Questa densa ricostruzione e interpretazione delle relazioni transatlantiche di Stati Uniti e Italia dal Risorgimento alla fine dell’800 si colloca nell’alveo di tutti quegli studi sia di storia transnazionale sia di storia comparata, che negli ultimi vent’anni, e da diverse prospettive, hanno letteralmente reinserito la storia degli Stati Uniti del 19° secolo nel contesto atlantico. Così ha fatto anche Daniele Fiorentino – professore di Storia degli Stati Uniti d’America presso l’Università degli Studi Roma Tre – in questo suo ultimo lavoro, mostrandoci anzitutto il vero significato della politica di neutralità attuata dagli Stati Uniti nel corso dell’800. Una neutralità che non si tradusse in un’assoluta indifferenza alle tumultuose vicende diplomatico-internazionali europee. Se la scelta isolazionista adottata da Monroe negli anni ’20 rimase certamente un dato costante dell’amministrazione statunitense fino agli anni ’80 dell’800, guardando alle vicissitudini dei singoli chargés d’affaires, piuttosto che ai diari e alla corrispondenza di politici e intellettuali o agli interessi commerciali statunitensi, è possibile ritrovare una gran vitalità di relazioni che, anche laddove meno formali, non furono meno dense di ricadute politiche e diplomatiche – aspetto ben dimostrato nella sezione dedicata al Risorgimento. Ma l’elemento forse più originale di questa ampia e documentata ricostruzione consiste nell’aver intrecciato la storia del posizionamento internazionale degli Stati Uniti nell’800 alla costruzione della stessa identità nazionale americana, in un percorso per molti aspetti parallelo a quello affrontato dagli stati italiani prima e dal Regno d’Italia poi. È soprattutto in questo senso che la storia della nazione americana viene reinserita all’interno del contesto atlantico e, più in particolare, nel contesto dei «processi di consolidamento dello stato-nazione in Europa nel “lungo Ottocento”» (p. 13), un aspetto che rivela la particolare attenzione dell’autore ai più recenti studi di storia comparata. Frammentazione e ricostruzione, questione meridionale, tentativo di limitare il proprio coinvolgimento nelle dispute europee ma, al tempo stesso, necessità di rafforzare i propri legami internazionali e commerciali. Queste le caratteristiche comuni alla politica estera di due paesi che, pur distanti per tradizioni, costumi e struttura istituzionale, nel corso dell’800 furono entrambi partecipi di un movimento liberale che li rese partner nella comune lotta per la libertà e il progresso civile. Un’affinità elettiva che si sarebbe esaurita proprio con la fine di quel «liberalismo internazionale che aveva favorito gli ottimi rapporti fra i due paesi» (p. 279). A fine secolo, il riposizionamento internazionale statunitense ma, soprattutto, le nuove ondate di migranti italiani in Nord-America, incrinarono più volte la reciprocità dei rapporti italo-statunitensi, scivolata poi progressivamente verso una pacifica collaborazione asimmetrica

Cristina Bon