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Gli Stati Uniti e la modernizzazione iraniana (1960-69)

Claudia Castiglioni
Milano, Le Monnier, 286 pp., € 21,00

Anno di pubblicazione: 2015

È un bel volume quello che ci consegna Claudia Castiglioni. Una «storia locale»
della modernizzazione che contribuisce a ricostruire quella «globale», per citare le parole
di David Engerman, cui l’a. si richiama direttamente (p. 4). E per far questo, il case study
che viene presentato con sapienza e accuratezza è quello dell’Iran negli anni ’60, durante
le amministrazioni Kennedy e Johnson. Grazie a un profondo scavo documentale che l’a.
ha effettuato in numerosi archivi, il volume analizza la politica di modernizzazione che
Washington incoraggiò e lo shah Mohammed Reza Pahlavi fece propria e realizzò (o cercò
di realizzare) in quegli anni.
Il volume è diviso in cinque capitoli. Dopo un’analisi del modo in cui la teoria
della modernizzazione e dello sviluppo economico e quella del domino si intrecciarono
influenzando la politica estera americana negli anni ’60, l’a. ricostruisce i rapporti tra Iran
e Stati Uniti agli inizi del decennio e si sofferma sulla decisione dello shah di inaugurare
una politica di riforme, la cosiddetta rivoluzione bianca, interpretata correttamente come
«punto di incontro tra una pluralità di progetti, elaborati a livello interno e incoraggiati
da Washington» (p. 63). Nel terzo capitolo, l’a. si sofferma sugli anni della presidenza
Johnson, caratterizzati dalla progressiva emarginazione di quei tecnocrati che avevano effettivamente
messo in pratica le proposte di modernizzazione, dalla mancata realizzazione
di stabilizzazione politica e progresso socio-economico e dal potenziamento dell’alleanza
militare tra Iran e Stati Uniti grazie al progressivo riarmo di Teheran sostenuto dall’incremento
delle rendite petrolifere. Il quarto capitolo è dedicato al trionfo del «pahlavismo»,
vale a dire l’«intreccio tra gli interessi americani e quelli del regime dello Scià» (p. 151)
che portò a sottovalutare quanto una serie di «voci fuori dal coro» (p. 164) pure non
mancarono di mettere in luce, il fatto cioè che il regime dello shah fosse una «dittatura
impopolare» (p. 159). Infine, il quinto capitolo ci presenta l’evoluzione dei rapporti tra
Washington e Teheran, con la trasformazione dell’Iran da agente di modernizzazione in
bastione americano nel Golfo Persico: grazie alla sapiente politica dello shah che si avvicinò
a Mosca con una serie di accordi di natura economica e poi persino militare, l’Iran
raggiunse una «incontestabile autonomia regionale» (p. 252), ponendo fine al «rapporto
patrono-cliente con la netta supremazia americana, che aveva avuto il suo apice negli anni
’50» (p. 260).
Con una scrittura asciutta e coinvolgente, una mole documentaria considerevole e il
ricorso a una bibliografia decisamente ampia, l’a. presenta in maniera molto convincente
la parabola della teoria della modernizzazione vissuta dall’Iran negli anni ’60, con i suoi
successi e i suoi limiti. Con l’arrivo dell’amministrazione Nixon, tale parabola si sarebbe
definitivamente compiuta, e la nuova politica estera americana avrebbe fatto dell’Iran il
«gendarme del Golfo» (p. 254), il garante degli interessi statunitensi in Medio Oriente e
il paese militarmente più forte dell’area.

 Arturo Marzano