Cerca

Guido Panico – Ritratto di borghesie meridionali. Storia sociale dei salernitani nel Novecento – 2005

Guido Panico
Roma, Avagliano, pp. 223, euro 14,50

Anno di pubblicazione: 2005

I cinquant’anni di Salerno presi in considerazione da Guido Panico segnano una cesura nella storia della città: ?i salernitani del secolo appena trascorso hanno avuto volti del tutto diversi da quelli dell’età moderna e perfino dell’Ottocento? (p. 19). Negli anni Venti si avvia un processo di modernizzazione che vede la città richiamare all’interno della cerchia urbana parte cospicua della popolazione dell’entroterra e in particolare una borghesia delle professioni che darà un nuovo timbro alla vita cittadina. Avvocati, ingegneri, costruttori, commercianti e impiegati allargarono, in parte assimilandosi e in parte sostituendo, il vecchio ceto benestante: una trasformazione molecolare legata a un mutamento profondo del sistema dei bisogni individuali e collettivi e che nel libro, assai ben scritto, si delinea come un minuzioso racconto fotografico: natura e struttura delle abitazioni, articolazione dell’edilizia funzionale alle classi sociali, forme di consumo nuove e differenziate. Su di essa gli avvenimenti più marcatamente pubblici sembrano quasi scivolare: la guerra, lo sbarco degli Alleati, il pur breve periodo di Salerno capitale. È singolare come mutamenti sociali profondi si accompagnino a una continuità di cultura pubblica conservatrice (istanza monarchica, anticomunismo feroce, struttura personalistica del consenso) che poteva tuttavia sposarsi a un progetto di modernizzazione economica identificato nel lungo sindacato di Alfonso Menna: un grand commis che dall’amministrazione locale, già nel corso del fascismo, emerse via via sino a divenire il protagonista del progetto della ?grande Salerno?, rappresentando in un sol uomo e in una carriera l’amalgama tra vecchi e nuovi ceti professionali, tra antiche famiglie e nuovi arrivi. Il nubifragio dell’ottobre del ’54, con l’afflusso di nuovi finanziamenti pubblici, accelerò il processo di sovrapposizione e distinzione tra la città delle professioni e degli affari, quella dei ceti intermedi e quella delle classi più popolari, rimescolando e riordinando la caotica urbanizzazione di un trentennio. Eppure già dagli anni Cinquanta si può assistere alla crescita embrionale di quelle novità che avrebbero contribuito a dare più tardi al movimento cittadino una dialettica più serrata: le nuove esperienze religiose e sociali favorite dalla nascita dell’Opera Salesiana, una scolarizzazione che costituiva l’anticamera di irrinunciabili esigenze di mobilità sociale, generazioni alla ricerca di valori alternativi, intellettuali partecipi di un dibattito culturale meno provinciale. È significativo così che già dagli anni Settanta si delinei la strana coesistenza di due tendenze apparentemente opposte: il tramonto del progetto di modernizzazione territoriale di Menna (deindustrializzazione e progressiva chiusura all’interno dell’enclave urbana) si coniuga senza eccessivi strappi con la nascita dell’Università, l’ascesa di una classe politica più professionale e una consapevolezza matura che la ricerca d’identità e memorie comuni era destinata a rappresentare un mito percorribile.

Ennio Corvaglia