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Harry Hearder – Cavour. Un europeo piemontese – 2000

Harry Hearder
Laterza, Roma-Bari

Anno di pubblicazione: 2000

Profilo di Cavour, notevole per la solidità della informazione e la grande efficacia della sintesi espositiva, che si colloca nelle migliori tradizioni della storiografia italianista britannica. Apparso in edizione originale nel 1994, parte dal riconoscimento della grande opera di Rosario Romeo, come definitiva sul tema, ma non omette di ridiscutere tutti i momenti salienti della opera politica cavouriana e i giudizi e le interpretazioni di cui furono oggetto. A differenza di Romeo, impareggiabile nella valutazione unitaria del peso che, per la specificità della propria natura e della propria funzione nel contesto storico, hanno le singole decisioni degli attori storici, Hearder segue però il caratteristico metodo del bilancino, un po’ di maniera, e anch’esso molto britannico. Metodo che definirei “antimachiavellico” (in senso profondo, di diminutio della creazione politica) e che consiste nel costruire giudizi di senso comune, mescolando meriti politici, severità moralistica, preoccupazione – che potremmo definire “stile common law” – di distribuire equamente meriti e demeriti fra protagonisti della storia. È un po’ il rovescio della medaglia di una maestria espositiva ineguagliabile. Hearder formula i suoi giudizi, tuttavia, con molto equilibrio e con spirito complessivamente assai più favorevole al personaggio che non il pur bravissimo connazionale Denis Mack Smith. Fra le pagine più interessanti e originali del libro sono quelle sulla questione dell’intervento piemontese in Crimea (Hearder vuole sottolineare che non vi fu priorità cavouriana: ma è assai frequente, nella storia di quegli anni, che Cavour arrivi “dopo”, e però, quando arriva, è il suo arrivo ad essere il fatto storico determinante…) e sul successivo Congresso di Parigi. Non direi inoltre che possano considerarsi riduttive dell’azione cavouriana le efficaci pagine sulla impostazione e sul tentativo di soluzione conciliativa della questione romana, che Hearder considera “l’ultima battaglia politica” di Cavour (mutuando questa formula da Ettore Passerin d’Entréves, e fraintendendo, però, il senso attribuitole da questi che alludeva alla creazione dello Stato unitario, vera “battaglia”). In realtà si trattava solo di sondaggi e il vero problema in questione era il confronto con Garibaldi e Mazzini; in ogni caso, lo storico inglese non ha dubbi – e chi potrebbe averne? – sul fatto che quel tentativo sia fallito perché erano Pio IX e la curia a voler questo, oltre alle grandi potenze, e non certo per l’imperizia mediatrice di Diomede Pantaleoni o del generoso padre Passaglia (en passant : quel momento storico attende ancora un suo Andrea Riccardi…). Pregevole, infine, la rassegna su “Cavour e gli storici”, che conclude il libro, e nella quale spicca la giusta valorizzazione dello spesso dimenticato Zini come primo storico dell’opera cavouriana (ma spicca anche l’ingiusta omissione della prima, e splendida, biografia di Cavour, dovuta al cugino De La Rive).

Luciano Cafagna