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Helmut Goetz – Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista – 2000

Helmut Goetz
La Nuova Italia, Milano

Anno di pubblicazione: 2000

La libertà della scienza professata nelle scuole universitarie – osservava Antonio Labriola in un celebre discorso del 1896 – dipende dalle condizioni della libertà nella società civile e politica, e in genere nello Stato. Il rifiuto, da parte di alcuni professori, di giurare fedeltà al regime fascista nel 1931, che è l’argomento del libro di Goetz, avviene in un contesto civile e politico in cui i diritti di libertà erano stati soppressi con le “leggi eccezionali”: il nesso con la questione della libertà della scienza è almeno problematico. L’Introduzione del libro ripercorre alcuni “precedenti” moderni. Nel primo capitolo si racconta come nacque l’idea di far giurare i professori, come reagirono Pio XI, Croce e Togliatti, come si svolse il giuramento stesso: ampia la casistica dei comportamenti, indagata in dettaglio. Il secondo capitolo è costituito da dodici “medaglioni”, dedicati ad alcuni dei professori che rifiutarono di giurare, i veri protagonisti del libro: G. Levi della Vida, G. De Sanctis, E. Buonaiuti, V. Volterra, E. Ruffini Avondo, B. Nigrisoli, M. Carrara, F. Ruffini, L. Venturi, G. Errera, F. Luzzatto, P. Martinetti. Il terzo capitolo è dedicato alle reazioni pubbliche al giuramento sulla stampa italiana e internazionale. Nell’epilogo si confronta il caso fascista con quello nazista.
È un libro pieno di fatti, di nomi e date, di testimonianze raccolte dall’autore, di risultati di ricerche d’archivio. Ma ciò che lo anima non è propriamente un disegno di storia. L’a. vuole esaltare in un libro-lapide alcuni gesti di eroismo individuale, non comprenderne le ragioni. La complessità storica, giuridica, antropologica del giuramento come istituzione, non è indagata davvero, anche se a tratti è mostrata. In piena luce c’è solo il rifiuto di giurare, quasi solo l’atto di dire: non giuro. Indirettamente sono coinvolti nel ritratto anche coloro che risolsero il conflitto di fedeltà cercando una via di uscita: facendo prevalere sulla morale la fedeltà alla scienza o all’insegnamento, giurando con riserve mentali, come i cattolici, o scritte, facendo scongiuri o dando in escandescenze, attribuendo a quell’atto un valore solo esterno, cercando cavilli giuridici, chiedendo aiuto all’estero o alle autorità morali o politiche (al Papa, al papa laico Croce, a Togliatti).
Restano aperti i principali problemi sull’argomento. Pochi anni prima, ad esempio, nel 1926-1927, quando il regime era già saldamente instaurato, gli eroi del 1931 avevano tranquillamente giurato fedeltà al Re, ai reali successori, allo Statuto, e di esercitare le funzioni di professore “col solo scopo del bene inseparabile del re e della patria”. Non era anche questo primo giuramento un oltraggio alla libertà della scienza, come l’autore stesso riconosce a p. XIX? È chiaro che il problema è qui, nella statificazione dell’università, come scriveva Labriola, e nei conseguenti conflitti di fedeltà.
La parte migliore di questo libro non riguarda quindi la libertà della scienza, ma la rivolta e la resistenza civile contro i tiranni.

Massimo Mastrogregori