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I linguaggi della contemporaneità. Una didattica digitale per la storia

Valentina Colombi, Carlo Greppi, Enrico Manera, Giorgio Olmoti, Renato Roda
Introduzione di Giovanni De Luna, Bologna, il Mulino, 268 pp., € 21,00

Anno di pubblicazione: 2018

Il volume è una riflessione metodologica a più mani sui limiti e le potenzialità delle
risorse digitali e dei media attuali nella pratica didattica. L’Introduzione di De Luna approfondisce
i complessi rapporti tra storia e media, web incluso, dove «i discorsi sul passato
[…] sono come un fiume in piena che trascina anche fango e detriti» (p. 17). L’approccio
è tutt’altro che nostalgico o catastrofista; la chiave principale di lettura è quella della «sfida»
che lo storico deve accettare, forte dei suoi capisaldi metodologici consolidati.
La prima parte tratta del progetto, che dà il titolo al libro, si articola in quattro temi
di ricerca/lavoro (Manera e Roda). L’idea di fondo è quella di una didattica della storia
digitalmente aumentata, nel senso sia di un utilizzo intensivo di fonti reperibili in rete, sia
di un approccio critico e metodologicamente corretto alle stesse.
La seconda parte tratta dei linguaggi audiovisivi in riferimento all’ormai amplissima
reperibilità in rete dei materiali e al loro utilizzo didattico. Nei due saggi Olmoti analizza
alcuni nodi critici della questione (es. l’assenza di un criterio «autoriale» nella gestione
delle immagini fotografiche) e auspica sia la costruzione di «una vera e propria grammatica
nuova» (p. 112) per la decifrazione delle immagini a contenuto storico, sia l’uso
dell’enorme messe di filmati disponibili mediante un «asse portante metodologicamente
robusto della didattica» (p. 135).
La terza parte è dedicata alla trasformazione dei linguaggi, più o meno tradizionali,
in funzione della loro integrazione nel web. Greppi si sofferma prima su Peaky Blinders,
serie ambientata nella Birmingham criminale del primo dopoguerra; poi sui graphic novel
di carattere storico, evoluzione attuale del fumetto seriale. Ai videogiochi si dedica Roda,
che constata il grande successo di prodotti come Assassin’s Creed e Call of Duty. Si tratta
di un’ottima introduzione al rapporto tra storiografia e videogames, e sui limiti (molti) e
la possibile validità di un loro uso a fini didattici. L’ultima parte è una discussione sulle
risorse di rete: archivistiche e documentali (Colombi); Wikipedia e dintorni (Manera).
Molto opportuno l’invito a utilizzare questo «super-testo collettivo» (p. 261) per avviare
didattiche volte a un uso più consapevole di ciò che rischia di diventare un monopolio
dell’informazione storiografica diffusa.
Il volume nel complesso mantiene le promesse che il sottotitolo evoca. La parte
più squisitamente didattica è convincente sul piano metodologico, meno su quello della
riproducibilità delle esperienze descritte: non certo per demerito di coloro che le hanno
realizzate, quanto per il livello richiesto alle scuole e ai singoli docenti. Il resto del volume
sconta una certa discontinuità tematica tra le varie parti, ma offre stimoli avveduti circa
le nuove frontiere con le quali la didattica della storia deve confrontarsi, soprattutto per
l’ineludibile funzione che il sapere storico, correttamente inteso, dovrebbe avere nella
crescita culturale dei cittadini.

Walter Panciera