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I segni della guerra. Pisa 1915-1918: città e territorio nel primo conflitto mondiale

Antonio Gibelli, Gian Luca Fruci, Carlo Stiaccini (a cura di)
Pisa, Ets, 237 pp., con Dvd allegato, € 28,00

Anno di pubblicazione: 2016

Il volume riproduce documenti e materiali utilizzati per la realizzazione di una omonima mostra multimediale, promossa dalla Fondazione Palazzo Blu tra marzo e luglio 2015, qui arricchiti da didascalie e testi a corredo e da una decina di brevi saggi, che tirano le fila della ricerca che ne ha rappresentato l’indispensabile premessa. L’impronta è naturalmente pisana, ma anche genovese, nella composizione del gruppo di lavoro (oltre ai curatori, Baldassari, Caffarena, Cavagnini, Gioli, Lesti, Manfredi, Minuto, Petrizzo) e nelle fonti utilizzate (i giornali di guerra della Collezione Maggi di Genova, le lettere dell’Archivio Ligure della Scrittura Popolare).
Immagini e parole disegnano un bel ritratto dei «segni della guerra» sulla città toscana, restituiscono la potenza visuale e comunicativa dei meccanismi di mobilitazione, propaganda e lotta politica, intrecciano la dimensione locale e quella nazionale e miscelano con efficacia diversi approcci storiografici.
Assistiamo così ai «pugilati politici di carta e di piazza» (p. 37) del 1914-1915, vinti da socialisti e anarchici, capaci di imporre agli interventisti (tra i quali spiccano docenti e soprattutto studenti dell’Università, ma non della Scuola Normale) una «strana disfatta» (p. 32), con una loro manifestazione di massa riuscita solo il 27 maggio. Incontriamo l’immagine simbolo dell’arrivo prepotente della guerra – un nuovo binario che buca le sue mura storiche per consentire l’approdo dei convogli di soldati (e profughi) direttamente all’Ospedale S. Chiara e alle sue cliniche universitarie. Veniamo introdotti al mondo degli ospedali, luogo in cui si rivelano i drammi del conflitto, ma leggiamo anche le retoriche del sacrificio che «guidano lo sguardo sul corpo del mutilato» (p. 221). Troviamo le pratiche di mobilitazione, la propaganda e la censura, ma anche gli scioperi per il pane e la pace, che compaiono con tratti marcatamente «rosa» già nell’inverno 1916-1917. E vediamo infine le tracce della memoria postbellica (i monumenti costruiti, le vie nominate, ecc.).
Il vero protagonista nella città della Torre pendente è però il cardinale Pietro Maffi (1858-1931), il più italiano e nazionalista tra i vescovi (e per questo forse papa-mancato nel conclave dell’agosto 1914), che invia il suo clero al fronte, fonda case del Soldato, impegna la Chiesa nei comitati di assistenza. Animato già ai tempi della Libia da un convinto spirito di crociata, possibile antidoto alle pulsioni del sovversivismo e strumento di riconquista di un primato ecclesiale sulla società italiana, Maffi organizza e coordina un Ufficio notizie che, con le sue oltre 30mila corrispondenze (12.500 delle quali di militari) gioca un ruolo nazionale nel raccordare il paese con i soldati che, al fronte, scrivono a casa «per sopravvivere»: conservate presso l’Archivio Maffi, queste lettere e cartoline (molte inviate direttamente a lui, e da tutta Italia, segno della sua notorietà e affidabilità) rappresentano «uno dei giacimenti più significativi di scritture popolari di guerra presenti in Italia» (p. 13).

Gianluca Fulvetti