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Il caso Moro: cronaca di un evento mediale. Realtà e drama nei servizi tv dei 55 giorni

Ilenia Imperi
Milano, FrancoAngeli, 176 pp., € 21,00

Anno di pubblicazione: 2016

Vero e proprio trauma collettivo nella storia dell’Italia repubblicana, il rapimento, la prigionia e l’uccisione di Aldo Moro vengono qui indagati attraverso le 120 ore di servizi giornalistici televisivi realizzati durante i 55 giorni: benché costituiscano lo strumento principale dell’indagine, essi vengono definiti una «fonte complementare» e utilizzati ad integrazione della vastissima mole di fonti primarie e di riflessioni storiografiche.
La tesi del volume è che, nel caso di Moro, non sia stato solo l’atto terroristico ad imprimersi nella memoria collettiva ma anche, e forse soprattutto, il modo in cui esso è stato rappresentato e raccontato dai media, e in particolare dalla televisione: esso, infatti, è stato «il primo episodio terroristico in Italia a svolgersi praticamente in diretta tv» e a cambiare «per sempre il rapporto fra terrorismo e comunicazione e il modo di fare giornalismo e informazione» (p. 12). Questa consapevolezza, in realtà, era presente anche negli osservatori coevi: si pensi al dibattito sull’opportunità di pubblicare i comunicati delle Br, che coinvolse anche McLuhan, o alle riflessioni sul rapporto fra il «caso Moro» e il racconto mediale. E tuttavia i servizi televisivi sono in qualche misura una fonte inedita, non essendo mai stati analizzati in modo pressoché integrale, né utilizzati per ricostruire la dettagliata cronologia dei 55 giorni. Proprio questa cronologia evidenzia una delle caratteristiche della costruzione narrativa sul caso Moro: la creazione, in assenza di novità rilevanti e di fronte allo stretto riserbo delle indagini, di una cospicua mole di notizie fondate su voci, ipotesi, supposizioni più che su fatti, che danno vita a pseudo-events e che contribuiscono a diffondere una «strana ma netta sensazione di incertezza permanente, di insicurezza, di precarietà in un certo senso» (p. 149), sensazione peraltro rinforzata dagli episodi del falso comunicato n. 7 o della scoperta del covo di via Gradoli. Per spiegare l’emergere di una tale narrazione televisiva, che tende a separarsi dalla ricostruzione storica e giudiziaria, l’a. ricorre alle classiche tesi di Guy Debord sulla società dello spettacolo, finendo per dirci poco sul modo in cui questo trauma (un social drama lo definisce, sulla scorta di Robin Wagner-Pacifici [The Moro Morality Play: Terrorism as social drama, Chicago 1986]) influenza la percezione che la società italiana sviluppa di se stessa alla fine degli anni ’70.
Se dunque, da un lato, lo studio conferma l’importanza delle fonti audiovisive – e di quelle televisive in particolare – e torna ad insistere sul carattere traumatico, sotto il profilo politico e sociale, del rapimento e dell’uccisione di Moro, dall’altro può essere considerato solo un primo passo nell’analisi di come la percezione della realtà sia stata modificata da una narrazione mediale che in quegli anni stava cambiando profondamente; lo conferma, del resto, il fatto stesso che le immagini del ritrovamento del corpo di Moro – uniche in tutto il vasto corpus analizzato – non siano state realizzate dalla Rai ma da una piccola emittente privata romana, Gbr.

Andrea Sangiovanni