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Il caso Tajani. Storie di magistrati nell’Italia liberale

Elena Gaetana Faraci
Acireale-Roma, Bonanno, 263 pp., € 22,00

Anno di pubblicazione: 2013

L’autrice, assegnista di ricerca di Storia delle istituzioni politiche all’Università di Catania, si occupa da tempo di tematiche legate alla disciplina in oggetto e ha già pubblicato alcuni articoli su riviste di settore e una monografia dedicata ai prefetti della Destra storica operanti a Palermo. Il libro che qui si presenta riprende, anche con l’ausilio di nuovi documenti, alcuni degli argomenti trattati in quegli studi ma si sofferma su una vicenda peculiare, dai risvolti più generali e inquietanti, che coinvolse il procuratore generale presso la Corte d’appello di Palermo, Diego Tajani, nonché il prefetto e il questore della stessa città, e scatenò un duro scontro tra la magistratura inquirente e gli apparati preposti alla tutela dell’ordine pubblico. Tajani, infatti, nel 1871, incriminò il questore Albanese, braccio destro del prefetto (e generale) Medici, per le collusioni della polizia con la criminalità organizzata e, in specie, in riferimento a una sua diretta responsabilità in un assassinio e in un tentato omicidio. L’accusato verrà però assolto in sede giudiziaria, sia pur per insufficienza di prove, mentre Tajani rassegnerà le dimissioni e, lasciata la magistratura, sarà eletto deputato, militando nelle file della Sinistra storica. L’affaire ebbe un seguito, di lì a pochi anni (1875), quando, in occasione del dibattito sul progetto di legge sulla pubblica sicurezza, Tajani, in un discorso «memorabile, denso di rivelazioni…» (p. 127), ritornerà sul caso di cui era stato protagonista, difendendo il suo operato e accusando i governi della Destra di aver tollerato, se non favorito, le illegalità perpetrate dai rappresentanti dell’esecutivo. La Camera decise quindi di affidare alla Corte d’appello di Palermo la verifica delle denunce dell’ex procuratore. Spetterà così al suo successore nell’incarico, Vincenzo Calenda, redigere un’apposita relazione che, in sostanza, riconoscerà la correttezza del comportamento di Tajani. Per quanto centrato su una questione specifica – e, perciò, non suscettibile di generalizzazioni – il contributo della Faraci è importante soprattutto perché il potere giudiziario, nonostante i recenti lavori di sintesi, è stato sinora il «grande assente» nella storiografia costituzionale, contrassegnata da una prevalente attenzione per i profili prosopografici. Va poi sottolineato che il taglio qui usato è quello proprio della storia delle istituzioni; l’a., anche se con una consapevolezza metodologica non sempre chiara, legge infatti la vicenda di Tajani alla luce dei rapporti, spesso conflittuali, fra giustizia ordinaria e autorità politiche. Sull’ipotesi interpretativa generale, suggerita dall’a., e cioè la constatazione che la magistratura abbia difeso la legalità e i diritti dei cittadini e si sia così dimostrata indipendente dall’esecutivo, si può convenire con l’avvertenza di non enfatizzare, a causa delle variabili soggettive, un evento particolare e tenendo conto che pure in un sistema istituzionale «gerarchico» non mancano margini di manovra per scelte autonome, e a difesa del proprio ruolo, da parte dei soggetti che ne guidano le diverse strutture organizzative.

Piero Aimo