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Il Congresso di Vienna

Vittorio Criscuolo
Bologna, il Mulino, 229 pp., € 17,00

Anno di pubblicazione: 2015

Operazione non facile quella in cui si è cimentato Criscuolo, operazione riuscita, capace di conciliare in un volume agile il piano descrittivo e informativo con quello inter- pretativo di un evento monstre come il Congresso di Vienna. Non cedendo a scorciatoie puramente divulgative, l’a. è infatti riuscito a calibrare racconto e analisi, laddove rinvii nel testo e un’utile nota bibliografica consentono di evitare l’apparato di note. Al lettore si dà infatti conto via via e nel denso capitolo X delle tesi storiografiche che hanno sino a oggi nutrito la riflessione sui metodi, gli obiettivi e i risultati seguiti e conseguti dalle potenze riunite nella capitale austriaca nel «dopo Napoleone»: tuttavia, non si trascura neppure quel coté mondano o il «dietro le quinte» che intrecciarono alla diplomazia forme di sociabilità proprie del nascente «secolo borghese». In particolare, l’attenzione dell’a. si dirige verso i protagonisti e le loro personalità tracciandone limiti e punti di forza a confronto con le sfide di un’età di transizione e una carta dell’Europa da ridisegnare. Tra questi, più che il consueto Metternich della «leggenda nera» o il Talleyrand maestro di ipocrisie e disvelatore di quelle altrui, spicca la figura del ministro degli Esteri inglese, Ca- stlereagh – «la scimmia di Pitt» secondo Napoleone ‒ con la sua controversa azione a dife- sa della balance of power continentale e, dunque, dell’integrità territoriale della Francia.
Le sfide recate alla diplomazia dal quadro europeo uscito dalla bufera napoleonica sono ben rese nel capitolo V, dedicato alle criticità che rischiarono di impantanare le discussioni: la questione sassone e quella polacca, ma anche il dualismo austroprussia- no destinato a tenere in ostaggio l’area tedesca per quasi un cinquantennio. Opportuna l’attenzione riservata nel cap. VIII alla tenuta delle decisioni del Congresso, una sorta di follow up del sistema internazionale e del dibattito intellettuale sui temi della pace e della guerra (p. 180 ss.) che evidenzia come già nel Congresso di Aquisgrana del 1818 emerges- se ineludibile lo scontro fra le opposte visioni della Gran Bretagna e della Russia, un nuo- vo antagonismo internazionale in relazione al tormentato spazio dell’Impero ottomano.
Come l’a. ricorda in più passaggi, se duraturo fu il lascito del Congresso sotto il profilo funzionale della regolamentazione della prassi diplomatica, l’Europa alla quale le sue decisioni vennero applicate era uno spazio che la Rivoluzione francese e la vicenda na- poleonica avevano irreversibilmente mutato, plasmando un ineludibile soggetto dell’azio- ne politica, la sfera pubblica. Ma se nel 1814 «non vi era alcuna possibilità effettiva di contrapporre all’Europa delle cancellerie quella dei popoli» (p. 179), il terreno sul quale il Congresso edificava era così magmatico che la morsa della repressione avrebbe potuto solo ritardare l’esplosione delle forze compresse: fu sull’asse Castlereagh Metternich ‒ è la tesi dell’a. (p. 185) ‒, impegnato nel mantenimento dell’equilibrio continentale, che il concerto europeo naufragò.

Arianna Arisi Rota