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Il conto degli errori. Stato e debito pubblico in Italia

Leonida Tedoldi
Roma-Bari, Laterza, 167 pp., € 20,00

Anno di pubblicazione: 2015

Quattro capitoli di ricostruzioni e di ipotesi di lettura sostanziano il lavoro dell’a.
– dedito principalmente alla storia delle istituzioni e forte di un sovrappiù analitico pro- veniente dalla frequentazione di temi e problemi dell’età moderna – deciso ad affrontare una questione tanto ambiziosa quanto difficoltosa. L’obiettivo, apertamente esplicitato nell’introduzione, è quello di «spostare l’attenzione sui meccanismi, e le distorsioni, della gestione politico-istituzionale del debito pubblico negli ultimi decenni del Novecento, per meglio comprendere le dinamiche di sviluppo o di torsione anche dell’uso del debito pubblico» (p. VIII). Si tratta di un obiettivo palesemente ambizioso che ha dovuto fare i conti con una bibliografia diversificata, con una temporalità breve ma fitta di cambia- menti, con problematiche di storia nazionale e internazionale, con l’essere tema forte e condizionante il dibattito politico.
Senza ignorare come fin dall’unificazione il debito pubblico abbia costituito una zavorra per le finanze nazionali e una condizione per tenere assieme il paese appena uni- ficato, e che la sua sostenibilità fosse sin d’allora questione eminentemente politica, l’a. prende le mosse dagli anni ’70 del ’900. Seguendo un percorso cronologico, indaga le ragioni politiche e finanziarie che hanno aggravato il debito pubblico facendone sempre più un problema politico; lo studio della pericolosa spirale innescatasi nel corso degli anni ’80, inquadrata in un contesto mondiale nel quale prevalevano nuovi orientamenti di po- litica monetaria, costituisce un altro tassello del discorso; a questo tiene dietro un’analisi incisiva del risanamento mancato, delle scelte compiute negli anni ’90 incapaci di attuare politiche per renderlo sostenibile (fiscali, di gestione e di organizzazione del collocamento del debito); in ultimo focalizza l’attenzione sui mutamenti indotti dalla costruzione euro- pea e dai vincoli di Maastricht.
Come si evince dai passaggi attraverso i quali viene affrontato, il tema non è fra quelli di speciale appeal storiografico, né di agevole trattazione. Le competenze necessarie ad af- frontarlo e le convinzioni dell’a. – intenzionato anche a riportare l’analisi del debito pubbli- co tra i campi d’interesse della storia delle istituzioni – consentono di apprezzare il valore del lavoro e il rischio che l’a. si è assunto. La prospettiva con la quale guarda al fenomeno, per lo più indagato da storici dell’economia ed economisti, costituisce a un tempo la ricchezza del libro e il suo limite. E limiti naturalmente ne ha, risultando più persuasivo e fluido an- che linguisticamente nelle parti in cui si discute l’intervento dello Stato, la sua capacità di mutare le condizioni di partenza e i processi di sviluppo economico. Ma, ciò detto, e senza escludere che l’affiancamento di uno studioso più avvertito sulla storiografia economica avrebbe giovato all’impianto complessivo, ha il merito di riportare all’attenzione, da una prospettiva meno scontata, un tema cruciale: per gli storici e per il paese.

Rosanna Scatamacchia