Il desiderio di infinito. Vita di Giusto Gervasutti

Enrico Camanni
Bari-Roma, Laterza, 269 pp., € 19,00

Anno di pubblicazione: 2017

Enrico Camanni, scrittore di montagna e storico dell’alpinismo, propone – a oltre
settant’anni dalla scomparsa – la prima biografia dell’alpinista friulano, trapiantato a Torino,
Giusto Gervasutti (1909-1946), soprannominato «il Fortissimo». Scopo dell’a. è
liberare la vicenda umana di Gervasutti dalle incrostazioni del mito, riscoprendo aspetti
della sua vita privata – come le origini familiari, gli studi, il lavoro, gli amori – taciuti dallo
stesso alpinista nell’autobiografia Scalate nelle Alpi, pubblicata nel 1945. La minuziosa
ricerca dell’a., pur contribuendo a colmare alcuni vuoti importanti, si ferma di fronte
all’impossibilità di interrogare testimoni ormai scomparsi e ritrovare fonti disperse a causa
dello scorrere del tempo.
Gervasutti è noto nell’ambiente alpinistico per alcune memorabili ascese sul massiccio
del Monte Bianco: vanno ricordate almeno le salite del pilastro del Pic Gugliermina
nel 1938, del Pilone nord del Frêney nel 1940 e della parete est delle Grandes Jorasses
nel 1942. Il suo nome apparve nelle cronache nazionali in occasione della spedizione
sulle Ande del 1934, che vide la partecipazione di alpinisti del calibro di Aldo Bonacossa,
Gabriele Boccalatte e Renato Chabod: celebrata dal regime mussoliniano, questa impresa
divenne strumento di propaganda per chi – come Angelo Manaresi, presidente di nomina
fascista del Club alpino italiano – intendeva fare dell’alpinismo una «fabbrica di eroi»,
anche al di là delle motivazioni dei protagonisti.
La consacrazione di Gervasutti presso il grande pubblico arrivò nel 1936, con
l’ascensione solitaria invernale della cresta del Leone sul Cervino. Tecnicamente non si
trattava di un’impresa troppo difficile, ma fu realizzata su una montagna che rivestiva
un’importanza simbolica eccezionale sin dai tempi della celebre sfida tra alpinisti italiani e
inglesi per la sua conquista, realizzata infine dal britannico Edward Whymper nel 1865.
Gervasutti, tuttavia, non condivise mai fino in fondo il connubio tra alpinismo e
politica: non fu certamente un «campione» del fascismo, né volle essere usato come portabandiera
del prestigio nazionale. Lo allontanavano dal regime la sua indole riservata, la
sua concezione elegante e artistica dell’alpinismo, il suo rifiuto di una retorica strabordante.
È forse proprio a causa di questa allergia verso gli ideali politici – beninteso, inclusi
quelli dell’antifascismo – che Gervasutti appare quasi estraniato dal clima della sua epoca,
come se volesse rifuggire dai «rumori del mondo» preferendo ad essi il silenzio delle alte
cime.
Merito dell’a. è aver saputo aggiungere, attraverso un sapiente equilibrio tra narrazione
biografica e descrizione tecnico-alpinistica, un importante tassello alla storia dell’uso
pubblico della montagna tra le due guerre mondiali – tema indagato da Alessandro Pastore
in Alpinismo e storia d’Italia (Bologna, il Mulino, 2003) e da Marco Armiero in Le
montagne della patria (Torino, Einaudi, 2013) – restituendo colore all’immagine, che
pareva ormai cristallizzata e ingrigita, di uno dei più valenti scalatori di quegli anni.

Andrea Zaffonato