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Il fascismo nella provincia operosa. Stato e società a Terni (1921-1940)

Angelo Bitti
Milano, FrancoAngeli, 272 pp., € 35,00

Anno di pubblicazione: 2018

Il volume di Bitti si inserisce nel filone di ricerche sul «fascismo in provincia», con- centrandosi in maniera particolare su tre questioni: 1) le classi dirigenti tra Italia libera- le e fascismo con particolare attenzione alla loro estrazione sociale e al problema della continuità/frattura; 2) i rapporti tra fascismo e forze economiche; 3) il consenso e la repressione.
Sulla prima questione Bitti mette in luce, in base a scrupolose ricerche prosopografiche e quantitative, come per buona parte del ventennio il notabilato locale di estrazione agraria, che aveva tenuto saldamente il potere nel periodo liberale, continui a svolgere un ruolo centrale. Risulterebbe così smontato il mito degli homines novi, tanto caro all’auto- rappresentazione del fascismo. Solo verso la fine dell’esperimento fascista comincia a farsi strada una nuova classe dirigente proveniente dalla piccola borghesia, che convive con il vecchio notabilato.
Un capitolo importante di questo rapporto è rappresentato dal confronto tra Pnf, classe dirigente locale (podestà, presidi, rettori) e forze economiche, rappresentate soprattutto dal colosso polisettoriale della «Terni». Il fascio locale non ha la forza di confrontarsi, su un piano paritario, con la «Terni», che ha come interlocutore diretto Mussolini, in un do ut des che, se da un lato sancisce un profilo autonomo del gruppo economico rispetto al fascismo, dall’altro manifesta una convergenza di interessi su cui si costruisce un solido rapporto, fino all’entrata del colosso polisettoriale nell’Iri per sviluppi che sfuggono alla dimensione locale (dinamiche simili, secondo l’a., si instaurano con un’altra forza sociale che sfugge al diretto controllo del regime, forse ancor più delle forze economiche, cioè la Chiesa cattolica). Questa situazione si ripercuote negativamente sulla capacità di pene- trazione del fascismo nell’ambiente operaio, in cui permane sempre, anche nei momenti di maggiore consenso sul piano nazionale e locale, un sottofondo di opposizione, se non coscientemente politica almeno di classe, a un regime percepito come indissolubilmente legato al capitale.
Tutto questo ci porta al terzo problema affrontato nel volume, quello del rapporto tra consenso e repressione. L’attenzione dell’a. si concentra sul secondo termine: su questo problema, dai risvolti politici oltre che storiografici, fiumi di inchiostro sono stati versati. Forse uno degli appunti che si possono fare a una ricerca metodologicamente ben fondata come questa, è proprio la limitata attenzione agli aspetti propagandistici e ideologici, probabilmente percepiti come sovrastrutturali e per questo poco rilevanti: un esempio su tutti, la scarsa attenzione prestata alla svolta del 1938 con la campagna razzista e antisemita, che rappresenta però un passaggio fondamentale nella costruzione dello Stato totalitario.

Gabriele Rigano