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Il Giappone tra Est e Ovest. La ricerca di un ruolo internazionale nell’era bipolare

Oliviero Frattolillo
Milano, FrancoAngeli, 208 pp., € 26,00

Anno di pubblicazione: 2014

Il libro di Frattolillo inquadra la storia internazionale nipponica del secondo dopoguerra nell’itinerario iniziato con la Restaurazione Meiji del 1868 e, più ampiamente, in una prospettiva che raggiunge a ritroso il periodo feudale.
Risulta rivelatrice, per afferrarne la proposta interpretativa, la premessa di Gustavo Cutolo, la quale porta appropriatamente come titolo: La logica della politica estera giapponese. Di quest’ultima l’a. vede la caratteristica principale all’indomani della Guerra del Pacifico (la sostanziale rinuncia cioè agli strumenti militari e il fatto di collocarsi in un tracciato puramente diplomatico ed economico secondo la formula della comprehensive diplomacy), al contrario di quanto spesso affermato, nelle radici culturali del paese e nella stessa etimologia del termine keizai (economia), il quale avrebbe implicato un’inclinazione a dare la precedenza alla prosperità economica sin dall’età dello shogunato. Per Cutolo la «dottrina Yoshida», perciò, che ha riassunto le coordinate della diplomazia del Sol Levante grosso modo dagli anni ’50 agli anni ’80, non sarebbe quindi «il solo frutto di restrizioni di ordine interno e vincoli internazionali propri dell’immediato dopoguerra», ma rifletterebbe invece, la «tensione culturale» tipicamente nipponica, verso il «soft power» (p. 25).
Frattolillo sviluppa questa griglia geostrategica e politologica che, ci sembra inutile dirlo, è diversa da quella della storia diplomatica e della international history con tutte le relative differenze, ma dà anche l’impressione di tentare, senza esplicitarlo fino in fondo, una mediazione fra due approcci metodologici diversi. Il primo capitolo è probabilmente il più interessante perché si concentra sul modo in cui le tematiche di politica estera vennero affrontate dagli intellettuali giapponesi del periodo fra le due guerre mondiali. In questo modo offre squarci interessanti, anche in merito ai rapporti fra certi ambienti della cultura e l’establishment militare dell’epoca. Coerentemente poi con l’impostazione condivisa da Cutolo collega il discorso con l’imperialismo di questo periodo. Nei capitoli seguenti descrive, con una ricca bibliografia, gli avvenimenti e le tendenze dei decenni successivi, ponendo uno spartiacque al momento della fine della guerra fredda, con l’inizio del disimpegno americano dall’Asia Orientale, l’ascesa della Repubblica popolare cinese alla condizione di grande potenza e il riassumere da parte del Giappone del ruolo di protagonista politico non esclusivamente regionale, pur nel quadro delle polemiche sull’eventuale emendamento delle clausole sul disarmo della Costituzione del 1947, a cui comunque non dedica troppo spazio. In sostanza risulta interessante il tentativo dell’autore di riportare un ciclo di eventi già più volte ricostruito a uno schema teorico originale rispetto a molta produzione storiografica occidentale.

Valdo Ferretti