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Il governo e la Chiesa in Polonia di fronte alla diplomazia vaticana (1945-1978)

Paweł Wójcik
presentazione di Jan Mikrut, San Pietro in Cariano, Gabrielli Editori, 2016, 558 pp., € 29,50

Anno di pubblicazione: 2017

La pregevole monografia di Paweł Wójcik tratta, in cinque densi e incalzanti capitoli, un tema decisivo della storia della Polonia del ’900, ossia i rapporti tra Chiesa e governo comunista dalla fine della seconda guerra mondiale all’elezione di Giovanni Paolo II. È un periodo difficile, a volte drammatico, per la Chiesa, che dopo le distruzioni della guerra e l’eliminazione di migliaia di sacerdoti, religiose e laici durante l’occupazione nazista, si trova ad affrontare nuove minacce da parte del potere comunista. Però, a differenza di quanto accade in altri paesi satelliti dell’Unione Sovietica, dove le Chiese sopravvivono a fatica, quella polacca resta una Chiesa vigorosa, popolare e radicata nella società, in grado di tenere testa al governo e di interloquire con tutte le forme di opposizione, fino a divenirne portavoce e garante nella transizione pacifica del 1989.
In questa vicenda di resistenza al comunismo si colloca la complessa relazione tra Santa Sede, governo e Chiesa in Polonia: un gioco a tre, in cui si alternano conflitto e dialogo e su cui l’a. sofferma la sua attenzione, utilizzando un gran numero di fonti d’archivio, nonché raccolte di documentazione edita e memorialistica. Notevole è l’impiego delle carte diplomatiche italiane, esaminate per la prima volta sistematicamente, dopo i sondaggi pioneristici di Andrea Riccardi (Il Vaticano e Mosca 1940-1990, Laterza, 1992), nella prospettiva dei rapporti tra Stato e Chiesa in Polonia, come pure l’analisi delle fonti archivistiche provenienti dai vari apparati statali incaricati di controllare la Chiesa, quali l’Ufficio per gli affari religiosi e alcuni dipartimenti del Ministero dell’Interno.
Dallo studio dei rapporti tra Santa Sede, Chiesa e governo comunista, emerge la figura del cardinale Wyszyński, primate di Polonia dal 1948 al 1981, su cui l’a. getta una luce nuova, ricostruendone con finezza ed equilibrio di giudizio i rapporti con tre pontefici: Pio XII che, pur non condividendo i compromessi raggiunti col governo nel 1950 e poi nel 1956, non fece mai mancare il suo sostegno a Wyszyński; Giovanni XXIII che ebbe per il primate polacco una predilezione particolare, nella convinzione che la Chiesa dovesse cambiare rotta e dialogare con tutti; infine Paolo VI, artefice del riconoscimento delle diocesi occidentali e quindi dei nuovi confini tra Polonia e Germania – un obiettivo che stava a cuore al governo comunista, e a Wyszyński – ma non sempre compreso dal primate polacco nel suo tentativo di migliorare le condizioni dei cristiani oltrecortina attraverso la diplomazia.
È evidente che tra Santa Sede e Chiesa polacca esisteva una diversa valutazione delle reali capacità di tenuta del comunismo. Se a Roma si paventava la forza militare dell’Unione Sovietica e si assisteva alla penetrazione dell’ideologia marxista nella cultura e tra i giovani, a Varsavia Wyszyński vedeva i segnali della debolezza del sistema e già nel 1957 era convinto che le sorti del comunismo si sarebbero decise «non in Russia ma in Polonia, attraverso il suo cattolicesimo» (p. 264).

Massimiliano Signifredi