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Il leone ferito. Venezia, l’Adriatico e la navigazione sussidiata per le Indie e l’Estremo Oriente (1866-1914)

Andrea Cafarelli
Roma, Viella, 275 pp., € 30,00

Anno di pubblicazione: 2014

La Venezia protagonista del volume è una comunità politica e commerciale che deve rispondere alle nuove sfide recate all’Adriatico dalle rotte dei traffici mondiali ridisegnate dall’apertura del canale di Suez. Sulla base di una ricca bibliografia, l’a. ricostruisce le fasi di quella che non fu solamente una battaglia economica, ma anche identitaria, connaturata al ruolo che la città e il suo porto avrebbero potuto rivestire nella geopolitica del trasporto e dei commerci via mare dell’Italia e di un’Europa sempre più proiettata verso una dimensione globale. Le prerogative da presidiare, l’inadeguatezza strutturale rispetto alla Trieste asburgica o a Genova, la concorrenza delle compagnie di navigazione britanniche, il ritardo del governo nel rispondere alle domande dei deputati veneti e della Camera di commercio: questi sono alcuni dei temi affrontati nel libro, corredato di tabelle e grafici utili a quantificare il fenomeno dell’espansione commerciale nei decenni postunitari, in un processo di State-building che, nel campo della navigazione merci e passeggeri verso l’Egitto e l’India, deve dimostrare di saper reggere il confronto con la nascente mondializzazione. Quale ruolo per Venezia, ma, soprattutto, quale ruolo per l’Italia e quali risposte dell’Italia a Venezia?
L’indagine restituisce un quadro di opportunità mancate, di debolezze congenite, di difficile dialogo tra periferia e centro: come commentava il patrizio padovano Papafava, il mondo economico si ribellava a simmetrie di tipo geografico, mentre Genova era «una bottega aperta sulla gran piazza del Mediterraneo», «Venezia è in fondo a un vicolo cieco» (p. 171). Venezia finì comunque «tradita» (p. 193) dalle scelte politiche che si susseguirono sino alle soglie della prima guerra mondiale. Il problema marittimo ‒ divenuto secondo Luigi Luzzatti l’«incubo nazionale» (p. 214) ‒, si trasformò nel tasto dolente di un tormentato rapporto con i competitors per la gestione delle rotte verso il Levante e l’Oriente ma, soprattutto, con Roma: «La legge del 1900 arrecò gravi danni alla navigazione veneziana, cominciando proprio dai collegamenti con l’Egitto e le Indie» (p. 140). I dibattiti parlamentari, che forse avrebbero potuto essere più estesamente citati, la copiosa pubblicistica coeva e, non ultime, le fonti diplomatiche raccontano della mancanza di un disegno organico per le sorti commerciali di Venezia italiana e di un terreno fertile per l’amara retorica del disinganno: «Venezia», scriveva nel 1910 il viceconsole generale a Calcutta, «d’italiano non ha che il nome. Il Leone di San Marco, ch’essa inalbera come suo stendardo, deve volgere altrove il corrucciato e umido suo sguardo nel discernere, baldanzosa della sua vittoria, la bandiera gialla e nera nelle isole ch’egli con tanto sangue carpì agli infedeli; mentre le ceneri di quegli eroi: Barbarigo, Manin, Dandolo […] devono fremere nei loro sarcofaghi nel vedere i loro nomi […] trascinati ora nei mari che eran tutti loro, al vile servizio dello straniero» (p. 225).

Arianna Arisi Rota