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Il movimento del ’77. Radici, snodi, luo- ghi

Monica Galfré, Simone Neri Serneri (a cura di)
Roma, Viella, 324 pp., € 28,00

Anno di pubblicazione: 2018

Il libro ricostruisce la storia del movimento del 1977 mettendone in luce le specificità, per non appiattirne l’interpretazione sul semplice confronto con il prima (il Sessantotto) e il dopo (gli anni ’80). Senza passato né futuro è non a caso il titolo del contributo di Galfré che analizza attentamente la commistione tra vecchio e nuovo di un fenomeno a cavallo tra la tradizione rivoluzionaria post1917 e una forma di mobilitazione collettiva con già alcune caratteristiche postmoderne. Il tema della continuità e rottura è anche al centro delle riflessioni di Neri Serneri che punta l’attenzione sulla complessità del movi- mento, le cui contraddizioni sono dovute in gran parte proprio alla sua eterogeneità. L’intenzione dei curatori è infatti di «restituire una storia necessariamente aperta, contrastata» (p. 10), fatta anche di limiti e ambivalenze, sogni infranti ed eredità distruttive. Merito del libro è proprio quello di mettere in evidenza la struttura multiforme di un soggetto frammentato e plurale che si addensa intorno a valori, pratiche e obiettivi comuni. Una molteplicità che viene ricostruita anche a livello territoriale, sebbene tra le storie delle diverse realtà locali manchi completamente l’analisi del Sud. Da questo punto di vista anche lo sguardo alla dimensione internazionale poteva essere ampliato perché, specie in ambito culturale, gli scambi e le contaminazioni con gli altri paesi appaiono significativi.
Se una critica si può fare al libro è proprio quella di aver privilegiato la politica a scapito della cultura. L’unico contributo che affronta in modo specifico l’argomento è quello di Tonelli, che di fatto parla però degli influssi culturali degli anni ’70, senza soffermarsi sulle «audaci sperimentazioni creative» del movimento del Settantasette (pp. 118). Si passa così da La febbre del sabato sera a Porci con le ali, per arrivare a dire che «abbandonarsi ai piaceri della carne diventa una via di fuga da una militanza che comincia a non soddisfare» (p. 121). Ma lo slogan «fate l’amore, non la politica» non sembra la chiave migliore per comprendere le matrici del movimento. Un’analisi più approfondita dell’ambito culturale, artistico e performativo avrebbe potuto chiarire meglio l’uso politico dell’arte, la sperimentazione di nuovi linguaggi espressivi e il rapporto tra creatività e competenza tecnica.
Servendosi delle acquisizioni più recenti della storiografia su violenza e terrorismo, i binomi creatività e lotta armata, rivoluzione e repressione vengono ripensati, senza leggerli esclusivamente in chiave dicotomica. La riflessione rientra in quel filone di studi che ha portato a vedere in modo meno unilaterale gli anni ’70, troppo a lungo schiacciati sull’immagine degli anni di piombo. E se appare forviante legare il Settantasette solo alla violenza, è altrettanto riduttivo considerarlo la causa involontaria del riflusso. Dalla lettura dei diversi contributi emerge infatti lo sviluppo di una militanza diffusa e di una modalità di partecipazione politica più individuale che collettiva, più associativa che partitica, che continuerà a esprimersi in forme di impegno attivo negli anni ’80.

Lorenzo Benadusi