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Il regime di occupazione sovietico in Germania

Vladimir Kozlov, Marina Kozlova
Roma, Aracne, 103 pp., € 10,00

Anno di pubblicazione: 2014

Seconda uscita della collana L’altra Europa, diretta da Francesco Benvenuti con Stefano
Bottoni, Stephen Kotkin, Silvio Pons e Robert Service, tra i migliori specialisti di
storia russa e dell’area che fece parte della sfera egemonica dell’Urss, questo volume rappresenta
un pregevole tentativo di interpretare la politica di occupazione sovietica nella
Germania centrale (denominata nel periodo della Guerra Fredda «Germania orientale»,
la zona d’occupazione sovietica, trasformatasi poi nel 1949 in Repubblica democratica tedesca,
comprendeva semmai la «Germania centrale», posto che, in riferimento ai confini
di Versailles, erano «Germania orientale» Pomerania, Slesia e Prussia orientale), politica
caratterizzata da una spiccata durezza verso la popolazione civile.
Sfuggendo alla diatriba tra chi ha presupposto una volontà punitiva del vertice staliniano
e chi ha attribuito la responsabilità di maltrattamenti, furti, rapine e stupri a reparti
dell’Armata Rossa portatori di modalità «tradizionali» di condurre la guerra, gli aa. hanno
scelto un approccio originale servendosi di strumenti di natura linguistica: una volta verificata
l’esistenza di ordini, emanati sia dalle massime autorità militari e civili della zona
di occupazione, sia dal centro staliniano che proibivano e punivano gli atti di besčinstvo
– termine secondo il prefatore e traduttore Benvenuti non restituibile in italiano a causa
del suo assai esteso e non poco variabile campo semantico, «comprensivo di ogni tipo di
azione inaccettabile nei confronti della popolazione tedesca […] dal saccheggio, lo stupro,
la rapina, agli atti di teppismo e al furto di mele dai frutteti» (p. 10) – la questione
era comprendere il motivo per il quale essi o non venivano applicati o lo erano in modo
parziale nonché differente da distretto a distretto.
Secondo gli aa., «la semantica dei medesimi termini e concetti, usati dagli autori
e dai destinatari dei documenti […] consentiva anche interpretazioni diverse di fatti
linguistici apparentemente identici» (p. 22); di conseguenza, «a partire dalla fine delle
guerra, i “vertici” e la “base” presero a parlare degli atti di besčinstvo in due diversi dialetti
burocratici: alla durezza dei giudizi e delle minacce dei vertici […] spesso si opponeva un
comportamento lessicale della “base” “blando”, “comprensivo”, “escusatorio”» (p. 42).
L’ingorgo semantico trasse origine dalla svolta che alla fine della guerra la direzione staliniana
volle imprimere alla propaganda indirizzata ai propri soldati, di cui fu simbolo
la direttiva dell’11 giugno 1945 che sostituiva in tutti i fogli diretti alla truppa la parola
d’ordine «Morte agli occupanti tedeschi» con «Per la nostra patria sovietica», e che si nutriva
dell’esigenza di trovare consenso nella popolazione civile tedesca in vista delle future
decisioni sulle sorti del paese.
Se l’approccio degli aa. al tema è indubbiamente stimolante, e molto utile è il richiamo
al fondo archivistico ora on line su cui essi hanno lavorato, resta qualche dubbio sul
modello di analisi sociolinguistica praticato, a volte non esente da schematismi.

 Brunello Mantelli