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Il secolo lungo. Le Marche nell’era dei partiti politici (1900-1990)

Massimo Papini
Ancona, affinità elettive, 275 pp., € 23,00

Anno di pubblicazione: 2014

Il titolo di ispirazione hobsbawmiana nasce dalla constatazione che le vicende del territorio regionale prese in esame, specie se analizzate col filtro della storia politica, presentano evidenti radici nei decenni precedenti l’inizio del secolo XX; e lo stesso vale per le interpretazioni e l’autorappresentazione del territorio stesso: si pensi al rilievo identitario dell’Inchiesta Jacini. L’a. sviluppa una riflessione sulle Marche novecentesche ampia, seria e documentata, che nasce dalla ormai lunga consuetudine con gli studi di storia regionale, condotti anche come responsabile dell’Istituto regionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia, al cui impegno di ricerca e conservazione delle fonti – e a quello degli Istituti provinciali associati – tributa il giusto omaggio.
Papini non è tanto interessato a valutare la tenuta esegetica di una storia contemporanea su base regionale, quanto a ridiscutere, ripercorrendo punto per punto le tappe canoniche del ’900 fino alla crisi del modello della cosiddetta prima Repubblica, alcuni stereotipi di lungo periodo: la pluralità di una regione denominata appunto al plurale; la marginalità che è anche, a lungo, arretratezza oltre che provincialismo (va ricordato che proprio un protagonista politico della vita regionale, il Pci, interpretò a lungo le istituzioni marchigiane come terreno di sviluppo per carriere nate e avviate al centro); l’interpretazione rigida del nesso città/campagna secondo lo schema modernità/arretratezza, là dove è appunto l’approccio di storia politica a consentire un progresso interpretativo. Alla polarità tradizionalmente proposta – anche dall’ormai classico volume Einaudi Marche risalente agli anni ’80 del secolo scorso –, infatti è possibile sostituire una visione più sfumata, dove la politica di matrice sia marxista che cattolica emancipa e rende protagonisti anche i contadini sin dall’inizio del secolo XX.
Quanto alla frammentazione (lato negativo della pluralità), la tesi forte del libro è che forse le Marche hanno raggiunto a fine ’900 una fisionomia unitaria proprio grazie al vivace incontro/scontro tra le varie culture politiche – alcune delle quali rappresentate in modo peculiare sul territorio, come i repubblicani o, prima, gli anarchici – e al loro consolidamento nelle istituzioni del periodo repubblicano (in cui la regione fu per più versi laboratorio di “larghe intese”), piuttosto che, come si è da più parti sostenuto, per la proposta di un modello produttivo e imprenditoriale originale. Va per lo meno tenuta in conto l’interazione tra i due fenomeni.
Quel che resta è il risultato di una evidente passione dell’a. per la storia e per la politica, in cui la narrazione ricca, e a tratti erudita, si anima nel ricordo di personalità illustri, come lo storico (e politico) Enzo Santarelli o lo scrittore (e quadro d’impresa) Paolo Volponi.

Paola Magnarelli