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Il tempo degli assassini. I guardiani dei campi di concentramento e le loro attività ricreative (1933-1945)

Fabrice d’Almeida
Verona, Ombre Corte, 175 pp., € 16,00 (ed. or. Paris, Fayard, 2011, trad. it. di Elisa Mencarini)

Anno di pubblicazione: 2015

Storico affermato in Francia per alcune opere di storia sociale nel contesto dell’occupazione
nazista dell’Europa (tra le quali il bel saggio La vie mondaine sous le nazisme, Perrin,
2006), l’a. ha cercato di ricostruire, a partire dagli archivi delle SS e dai dossier raccolti dopo
la guerra sui guardiani dei lager, i modi e i tempi delle attività ricreative degli ufficiali e delle
truppe addette al funzionamento e al controllo dei maggiori campi di concentramento e
sterminio. Il titolo francese del libro: Ressources inhumaines è stato reso in modo molto
efficace nella traduzione italiana con una espressione di Arthur Rimbaud: «Il tempo degli
assassini».
Le domande che muovono il saggio sono curiose e insolite: qual era la durata del tempo
di lavoro dei guardiani e degli ufficiali addetti ai lager? Quali le attività nel tempo libero?
Preferivano giocare a carte, praticare la boxe o rilassarsi leggendo un romanzo poliziesco?
Inoltre, come alimentavano i vertici delle SS, Himmler compreso, lo svago dei loro
uomini impegnati in prima linea a compiere i peggiori crimini della storia?
Ad Auschwitz, i guardiani non hanno ucciso soltanto uomini, donne e bambini ebrei,
sinti e rom, politici e sovietici, ma hanno «ammazzato anche il tempo»; ne è testimonianza
inquietante lo straordinario album di fotografie, noto come Album Höcker, che ferma le
immagini dei momenti di svago degli ufficiali (uomini e donne), dopo il loro duro lavoro
«amministrativo» in lager.
Curioso venire a sapere quante chitarre, pianoforti, trombe, clarinetti, dischi venivano
forniti ai magazzini dei lager e quanti libri, non solo sull’ideologia del Partito nazista,
andavano a riempire le biblioteche delle Komandantur, cui spettava la distribuzione di
questa merce, fornita per il puro divertimento dei guardiani e delle loro famiglie.
L’a. suggerisce che tutto questo armamentario di giochi, e oggetti per lo svago, tendesse
in realtà a rendere normale e quotidiano il lavoro degli assassini che, lasciando il recinto
del lager e tornando ai loro appartamenti, dovevano vivere una vita normale, per ritrovare
energia da spendere nei giorni seguenti. Una sorta di ammissione dello stress cui venivano
sottoposti anche i più fanatici della «soluzione finale». Non dimentichiamo che Himmler,
chiamato a Minsk (estate1941) per assistere a una fucilazione di massa, si rese subito conto
che l’alcool e le droghe non bastavano a rendere sopportabile il lavoro da macellai cui
erano sottoposti anche i membri dei kommando mobili speciali SS. I camion a gas e poi le
camere a gas, come suggerisce Hilberg servirono esattamente come gli svaghi a rendere più
«umanamente» accettabile e «moralmente giusta» quella decisione di uccidere tutti gli ebrei
d’Europa e tutti coloro che, per razza o idee, erano contrari al progetto nazista di dominio
e di rinnovamento demografico. D’Almeida sa che la sua ricerca apre solo la strada a questo
tipo di indagine, fino a ora trascurata. Per questo il suo libro è da suggerire.

 Frediano Sessi