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Imagepolitik im olympischen Wettstreit. Die Spiele von Rom 1960 und München 1972

Eva Maria Gajek
Göttingen, Wallstein Verlag, 2013, 559 pp., € 48,00

Anno di pubblicazione: 2014

La ricerca rappresenta un interessante contributo di storia culturale della politica, declinato in chiave comparatistica fra Italia e Germania federale in qualità di ex potenze dell’Asse bisognose di migliorare la propria immagine (l’a. accomuna con esse il Giappone e le sue Olimpiadi del 1964, tema per il quale fa riferimento al lavoro di Christian Tagsold). L’obiettivo è individuare come grandi eventi culturali internazionali siano stati utilizzati per incidere sull’immagine di un paese e ampliare il suo «territorio diplomatico» (p. 8). In questo senso, nel volume sono analizzate sia le specifiche attività degli organizzatori volte a influenzare l’immagine del proprio paese (quella da dare nel mondo ma anche l’autorappresentazione), sia il modo in cui i loro messaggi furono recepiti e diffusi dai giornalisti. L’attenzione è rivolta alla stampa italiana, tedesca e statunitense.
Fra le principali qualità di questo lavoro vi è il fatto che non si tratta di uno studio sui mezzi di comunicazione di massa con un’introduzione di contesto sulla storia dei due paesi, né di uno studio di storia internazionale che impiega i media come fonti. La comunicazione mediale rappresenta piuttosto il fulcro della ricerca: non viene indagato il modo in cui l’evento sportivo è stato presentato dai media, ma il ruolo che ebbero i media nel processo di progettazione delle Olimpiadi come strumento di (ri)costruzione dell’immagine nazionale.
Dopo un excursus sulla storia delle Olimpiadi moderne, nel secondo capitolo Gajek affronta le candidature. Interessante, in chiave comparatistica, è il disinteresse della stampa occidentale per il passato fascista dell’Italia, mentre rilevanza venne data alla Dottrina Hallstein e al trattamento riservato ai giochi da parte dalla Repubblica democratica tedesca. Il terzo capitolo è dedicato alla preparazione dei giochi, da cui emerge il permanere dei tradizionali stereotipi sull’organizzazione dei tedeschi e l’improvvisazione degli italiani. Il quarto capitolo affronta poi le cerimonie di apertura, mentre il quinto presenta brevemente una serie di interessanti temi collaterali: dal terrorismo, al doping, alla rappresentazione del corpo degli atleti. Infine, vengono analizzate le cerimonie di chiusura.
In alcuni punti – la parte relativa alla storia delle Olimpiadi moderne e l’apparato di note – il lavoro non si presta troppo alla lettura da parte di un pubblico non accademico, poiché molto lungo e dettagliato. Esso affronta, tuttavia, un tema di ampio interesse e fornisce un contributo rilevante alla ricerca soprattutto per l’attenzione al caso italiano, che non era stato in precedenza approfondito, e per l’approccio focalizzato sulla comunicazione mediale.
Vari aspetti, non indagati, aprono prospettive di ricerca future. Sarebbe infatti interessante analizzare maggiormente i mezzi di comunicazione non scritta, che si spera diventino più facilmente accessibili in futuro, così come i media di altri Stati (occidentali e non), poiché i messaggi elaborati dagli organizzatori difficilmente furono interpretati allo stesso modo dai diversi paesi.

Francesca Zilio