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Istituzioni e terrorismo negli anni Settanta. Dinamiche nazionali e contesto padovano

Andrea Baravelli
Roma, Viella, 222 pp., € 27,00

Anno di pubblicazione: 2016

Della violenza politica degli anni ’70 si conosce ormai molto: sono per lo più noti gli
attori, le relative culture politiche, le modalità organizzative, i partiti, i movimenti; molto
meno sappiamo dei soggetti che l’hanno contrastata – istituzioni, dispositivi giuridici,
forze dell’ordine, magistrati – e della gestione, teorica e concreta, dell’ordine pubblico. Si
tratta di una differenza, negli esiti di ricerca, almeno in parte derivante dall’accessibilità
alle fonti istituzionali e giudiziarie, ma anche da una diversità di lettura dei caratteri stessi
del terrorismo italiano e delle ragioni della sua sconfitta. Solo di recente la ricerca ha infatti
iniziato a confrontarsi anche con queste istanze, sulle quali – con merito – Baravelli
riporta l’attenzione.
Il libro si muove su due versanti, rispecchiati nei due capitoli in cui è organizzato. Il
primo è dedicato all’analisi delle soluzioni istituzionali e giuridiche predisposte lungo il
decennio per fronteggiare il terrorismo in Italia; il secondo trova in Padova l’epitome per
capire l’intero fenomeno della lotta armata italiana e, soprattutto, per cogliere elementi e
strumenti che ne permisero la sconfitta definitiva. L’a. si propone di «far dialogare la storia
delle istituzioni con la più generale attenzione nei confronti della prospettiva relazionale»
(p. 9), facendo interagire le spiegazioni macro con l’evoluzione degli apparati di repressione
e con le motivazioni e le parabole individuali. Per far ciò si serve di fonti d’archivio,
provenienti dall’Acs e principalmente dal Tribunale di Padova, della stampa quotidiana e
periodica (e, specie per le ricostruzioni del caso padovano, di quella locale), di interviste
rilasciate da ex militanti.
Il primo capitolo permette così di seguire nel dettaglio la tortuosa costruzione –
poiché condizionata sia dalle tensioni interne ai diversi apparati di sicurezza, che dagli
interessi spesso contingenti delle forze politiche – di un efficace dispositivo istituzionale
di contrasto alla violenza politica. Qui l’a. valorizza ampiamente il ruolo dei singoli – dal
generale dalla Chiesa al magistrato Pietro Calogero – nel muoversi in questo campo di
tensioni, usando in modo nuovo norme e istituzioni esistenti per predisporre misure di
contrasto al terrorismo destinate a rivelarsi efficaci. Per molti versi il secondo capitolo è il
risultato di questa valorizzazione dei singoli, perché assume Padova e il 7 aprile come momento
periodizzante della storia del terrorismo italiano, soprattutto per l’iniziativa di un
singolo magistrato e della sua ipotesi processuale (il cosiddetto «teorema Calogero»); è a
questo che viene riconosciuto un primato nell’analisi e nella comprensione del terrorismo
italiano, non solo in chiave processuale. Si tratta di un’ipotesi di lettura netta e stimolante,
che certo merita di essere approfondita, ma che resta qui più promossa che riscontrata
in modo convincente, lasciando i due poli dell’analisi, nazionale e locale, legati ma non
integrati in una prospettiva compiuta.

 Emmanuel Betta