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James Sievert – The Origins of Nature Conservation in Italy – 2000

James Sievert
Peter Lang AG, Bern

Anno di pubblicazione: 2000

La storiografia, e più in generale, la cultura italiana hanno vissuto una lunga amnesia che ha portato alla sostanziale scomparsa del movimento ambientalista dalla nostra memoria collettiva. Da alcuni anni, tuttavia, dentro la storiografia ambientale italiana stanno maturando diversi contributi sulle vicende del movimento e della cultura ambientalista (E.H. Meyer, I pionieri dell’ambiente, Milano, Carabà, 1995; F. Pedrotti, Il fervore dei pochi: il movimento protezionistico italiano dal 1943 al 1971, Trento, Temi editore, 1998; L. Piccioni, Il volto amato della patria: il primo movimento per la protezione della natura in Italia 1880-1934, Camerino, Università degli Studi, 1999). In questo filone si colloca il libro di Sievert, che costituisce un’utile sintesi, per altro scritta con grande fascino, sulla storia dell’ambientalismo italiano dalla metà dell’Ottocento fino agli anni ottanta del Novecento. Associazioni e singoli individui costituiscono l’oggetto della ricostruzione di Sievert: la Pro Montibus, il Club Alpino Italiano, il Touring Club, la Società Botanica Italiana, Italia Nostra, il Wwf e Lega Ambiente intrecciano le loro storie associative con le storie individuali di personaggi come Luigi Bertarelli, Rosadi e Miliani, Videsott, Vaccari e de Beaux. L’attenzione alle culture conservazioniste, per altro affatto omogenee e univoche, si coniuga con la ricostruzione delle legislazioni relative alla protezione ambientale: in particolare emerge il complicato rapporto tra natura e storia, memoria e paesaggio, umano e naturale così intimamente connesso alla vicenda del nostro territorio nazionale.
Se la città, e con essa l’idea di urbanitas, sono la cifra fondamentale della geografia e della storia della penisola, l’autore sottolinea la lettura fortemente artificiale, antropica anche del paesaggio agrario, specie per l’Italia centrale e settentrionale. Diversa, invece, la situazione nel Mezzogiorno, dove all’ordine umano sulla natura si sostituisce un disordine naturale in grado di dominare sugli uomini e sulle loro vicende; e mi sembra interessante, ma solo accennata, l’ipotesi di collegare questi elementi all’opzione meridionale per un maggiore intervento statale in tema di gestione e conservazione della natura.
Si tratta, insomma, di un volume utile, che fornisce una preziosa ricostruzione delle vicende dell’ambientalismo italiano, delle sue ricadute giuridiche, dell’esperienza dei parchi nazionali (il Gran Paradiso e quello d’Abruzzo). Sievert ha, tuttavia, anche un altro merito: quello di avere suggerito una serie di percorsi di ricerca che attendono ora di essere sviluppati: il rapporto tra industria idroelettrica e ambiente; l’emersione di un ambientalismo popolare in grado di impegnare battaglie per la difesa della propria salute o del proprio territorio (il caso di Sirolo); l’accenno ad una cultura naturalistica localista, magari autodidatta non del tutto assente nel panorama italiano (Pietro Zangheri); i difficili rapporti tra culture ambientaliste e burocrazie forestali, specie nella gestione delle riserve naturali.

Marco Armiero