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Joze Pirjevec – Le guerre jugoslave, 1991-1999 – 2001

Joze Pirjevec
Torino, Einaudi, pp. 748, euro 33,67

Anno di pubblicazione: 2001

Più che un ?libro di storia?, Pirjevec ci ha dato degli annali, ma che annali: pagine fondate su una profonda conoscenza degli eventi e delle fonti disponibili, che si leggono benissimo e che respirano, che fanno riflettere e raccontano una storia terribile, fatta di 200.000 morti, 50.000 torturati e 20.000 casi di stupro (p. 535), una storia che è insieme introduzione alle miserie della storia europea e parabola morale.
Di questa dimensione morale Pirjevec è partecipe: i suoi sono annali scritti con e da un punto di vista, che non è mai nascosto da un autore che dice pane al pane e vino al vino ma che, dopo aver individuato le responsabilità serbe, non chiude gli occhi davanti ai crimini della parte che sente più vicina (pp. 106, 184, 209, 283, 320, 323), ed è attento a cogliere anche la complessità della società serba, sentendo la tragicità della sua sorte, così riassunta nel 1993 dalla rivista Vreme: ?Il Sud ha vinto il Nord, i sottosviluppati gli sviluppati, la provincia la metropoli, il paese la città, gli ignoranti i colti, e i vecchi i giovani? (p. 328).
In questi annali non ci sono responsabilità collettive, ma esseri umani, con le loro miserie e virtù: all’infamia di Boutros-Ghali (p. 240), Akashi e dei generali MacKenzie, Rose e Janvier (p. 473), corrisponde la dirittura di uomini come Mazowiecki, Kozyrev, il generale Smith e soprattutto Gorbacev e El’cin, la cui comune grandezza si staglia sullo sfondo della follia omicida dei politici jugoslavi, mentre sorprende la capacità di evolvere di Zimmermann o Chirac.
Ci sono poi i miti sfatati, quello di un occidente ?antijugoslavo? come quello dell’?inefficacia? delle sanzioni. E ci sono le tante bellissime citazioni: dal De Michelis che dice agli sloveni ?Signori miei in Europa non c’è spazio per nuovi stati? (p. 35), al Delors che chiede con boria agli americani di non interferire negli affari europei (p. 49) salvo poi assistere al tracollo dell’Europa stessa, dilaniata da quegli interessi nazionali che già ne avevano causato il suicidio. In questa luce, di fronte al Mitterrand che voleva due Germanie, un’eterna Unione Sovietica e un’unica Jugoslavia (p. 50) e a chi giustificava il proprio filoserbismo con un ?non vogliamo giocarci post festum la prima guerra mondiale? (p. 309), la prosecuzione del processo unitario ha del miracoloso.
Il libro solleva problemi di grande interesse: dal ruolo giocato dai criminali comuni nella formazione degli eserciti e quindi degli Stati (pp. 67, 124, 135, 164, 303-5), al caso serbo-bosniaco, che rovescia il tradizionale schema della ?minoranza imperiale? urbana e dominante, accerchiata da campagne ostili, mostrandoci un villaggio patriarcale e arretrato ma forte militarmente e dell’appoggio di Belgrado in ?lotta contro i centri urbani multiculturali, d’impronta etnica prevalentemente musulmana? (p. 142). Belle sono anche le aperture internazionali: il confronto tra crisi del 1991 in Jugoslavia e in Urss, come l’analisi dell’evoluzione dei rapporti tra Europa e Stati Uniti dopo il 1991 o quella dell’eco dei massacri bosniaci nel mondo islamico.
Certo, l’Introduzione è forse sbrigativa; il capitolo finale sul Kosovo appare meno convincente di quelli sulla Croazia e la Bosnia; una cronologia avrebbe potuto accompagnare le cartine; e se è giusto aver riportato tutte le voci, sarebbe opportuno indicarne almeno il grado di attendibilità. Ma ciò nulla toglie alla forza di un libro che resta uno dei più notevoli tra quelli che ho letto di recente.

Andrea Graziosi