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Judenverfolgung in Triest während des Faschismus und Nationalsozialismus 1922-1945

René Moehrle
Berlin, Metropol-Verlag, 520 pp., € 24,00

Anno di pubblicazione: 2014

Il corposo saggio di Moehrle tratta della persecuzione ebraica in quella Trieste dove, nel settembre 1938, Mussolini diede lettura delle leggi razziali fasciste e nella quale da secoli viveva una delle più grandi comunità israelite del tempo.
Una presenza secolare fondamentale per l’identità cittadina (pp. 53-67), che non ha impedito a Trieste – così una delle tesi dell’a. – di diventare prima una sorta di incubatrice dell’antisemitismo di Stato e poi, durante l’occupazione nazista, il centro strategico dell’Aktion R, con la Risiera di San Sabba.
Nel volume, attraverso una periodizzazione che abbraccia tutto il ventennio fascista, Moehrle cerca di fondare la sua tesi di Trieste come esempio decentrato di un antisemitismo di Stato, la cui incubazione è durata fino al 1938 e che a Trieste ha avuto sviluppi esemplari, non ultimo per la sua commistione particolare tra antisemitismo, razzismo nazionalista e odio antislavo. Ciò ha determinato per l’a. la creazione di una solida base strutturale di persecuzione nei confronti degli ebrei che, almeno a livello locale, a partire dal 1943 fu poi sfruttata e potenziata dagli occupanti tedeschi.
L’intrecciarsi tra la dinamica antisemita locale triestina e la «sovrastruttura statale» nazionale viene sviluppata nella prima parte del volume dove poche sono le novità rispetto alla letteratura sul tema, a partire dal primo volume di Silvia Bon del 1972 o dalla sua nuova edizione del 2000.
Più interessante invece è la seconda parte, quella riguardante il periodo di occupazione tedesca dell’Italia e in particolare della Zona d’operazioni del Litorale adriatico (Ozak), controllata direttamente dai nazisti, il cui centro era appunto Trieste. L’interesse è maggiore soprattutto nelle parti riguardanti il collaborazionismo che, riprendendo uno dei sottotitoli della sezione, «rendeva l’occupazione nazista un po’ meno estranea» (capp. 3-4), nel senso di una disponibilità da parte di funzionari statali, militari, militanti e fascisti a sostenere un’«ulteriore radicalizzazione del sistema», che prese poi le forme sia di una spirale di violenza contro i civili, sia della «delazione, carcerazione, deportazione ed assassinio degli ebrei» (p. 466).
In questa parte, dove Moehrle intende dimostrare la suddetta tesi della preparazione italiana allo sterminio tedesco, come nella precedente sviluppa la sua analisi quasi esclusivamente sul livello strutturale del partito e dell’organizzazione militare d’occupazione, tralasciando i percorsi individuali e collettivi che avrebbero potuto dare maggior forza, a livello locale, alla tesi già di Sarfatti (2000) della natura autoctona dell’antisemitismo fascista.

Massimiliano Livi