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Jung Chang, Jon Halliday – Mao: la storia sconosciuta – 2006

Jung Chang, Jon Halliday
Milano, Longanesi, pp. 960, euro 22,60 (ed. or. New York, 2005)

Anno di pubblicazione: 2006

È difficile recensire in maniera sintetica un’opera così imponente, frutto di un grande lavoro decennale, che ha l’ambizione di consegnare alla storia la più stupefacente delle biografie di Mao, raffigurato come un tiranno sanguinario, vendicativo, dalla smisurata brama di potere. Ma non è questa cruda immagine del Grande Timoniere a colpirmi, auspicando invece che si continui a denunciare gli enormi costi in vite umane delle sue errate direttive; a lasciarmi perplessa è piuttosto la deliberata costruzione da parte di Chang e Halliday di una sorta di teoria del mostro che sembra paradossalmente seguire la tradizione del genere biografico cinese, spesso palesemente agiografico. In una agiografia questa volta al rovescio, gli autori sembrano aver ridotto un personaggio complesso, sfaccettato, contraddittorio, quasi nella parodia unidimensionale di un esecrabile mostro. Ogni singolo episodio della vita di Mao pare utilizzato come un tassello nel mosaico della sua inconfutabile malvagità, in un ritratto monocromatico, con assenza di ogni chiaroscuro. Dalla Chang, che ha vissuto in prima persona l’esperienza della rivoluzione culturale, ci si sarebbe forse aspettata maggiore sottigliezza psicologica nel cogliere le molteplici sfaccettature del personaggio e nel rendere le luci e ombre che avvolgono il periodo storico considerato. Molto più umanamente credibile è invece il Mao che appare dalle pagine della famosa dissacrante biografia del suo medico personale, Li Zhisui. Nondimeno particolarmente apprezzabile è la smisurata mole di materiali consultati e citati nella cospicua bibliografia: in prevalenza opere in cinese, documenti provenienti dagli archivi sovietici e taiwanesi, interviste a personaggi vicini al presidente. Tuttavia nel testo manca completamente un’analisi critica di tali materiali e una discussione della gerarchia delle fonti utilizzate. In esse Chang e Halliday sembrerebbero a tratti essere andati quasi a cercare esattamente ciò che avevano già in mente di trovare. Come è stato sostenuto da illustri studiosi, quali Jonathan Spence e Andrew Nathan, molte delle affermazioni degli autori sono difficili da verificare e in molti casi le fonti appaiono quasi manipolate. Alcune delle sorprendenti rivelazioni, presentate come dissepolte per la prima volta dagli archivi, erano invece già note, come, ad esempio, la coltivazione dell’oppio nella base rossa di Yan’an. Data l’esiguità dello spazio a disposizione, non è qui possibile addurre altri casi e discutere alcune delle tesi interpretative avanzate dagli autori; per lo stesso motivo è impossibile confutare le inesattezze storiche presenti nel testo. In esso sono inoltre palesi non poche forzature, come quella di aver accesso alla coscienza più intima di Mao, ai suoi pensieri più reconditi, persino sul letto di morte. La preoccupazione principale di Chang e Halliday sembrerebbe quella di stupire il lettore a un ritmo incalzante, con esempi eccessivi e sempre più strabilianti, nell’ansia di riempire tutti i vuoti, senza lasciargli il tempo di trarre da solo le proprie conclusioni. Tanta foga di sensazionalismo rende il risultato forse poco commisurato all’enorme impegno profuso.

Marina Miranda