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l dilemma della pace. Femministe e pacifiste sulla scena internazionale, 1914-1939

Elda Guerra
Roma, Viella, 269 pp., € 22,00

Anno di pubblicazione: 2014

La ricerca, complessa e originale, colma un vuoto nella storiografia italiana in tema di network internazionali femminili. L’a. si muove con consapevolezza metodologica entro un campo imponente di fonti. La scelta cronologica risponde all’intento di analizzare i temi di una riflessione collettiva e tendenzialmente unitaria, dopo la profonda frattura della Grande guerra e dopo la conquista, sia pure non generalizzata, del voto. Gli atti dei Congressi e la stampa di riferimento consentono di seguire il percorso verso la definitiva legittimazione delle donne, organizzate e tra loro collegate, nei confronti dei rispettivi governi e Stati nonché della Società delle Nazioni, che venne assunta come interlocutore privilegiato. Il movimento femminista-pacifista internazionale mantenne un carattere elitario, ma dimostrò fantasia, energia, attivismo, arrivando a dispiegare capacità effettive di mobilitazione e di orientamento dell’opinione pubblica. Al di là di persistenti tensioni e contrasti, i tre organismi transnazionali – ai già collaudati Icw e Iwsa, si era aggiunta la più radicale Wilpf – espressero in modo convergente la «nuova cultura» e il «nuovo internazionalismo» delle donne, che furono decise a battersi in difesa delle cause di genere (la libertà di scelta della nazionalità per le donne sposate, la «tratta delle bianche») ma, contestualmente, per i diritti umani universali. Ecco perché il focus venne posto sul tema della pace. L’apice si raggiunse in occasione della campagna per il disarmo, durata due anni e conclusa con il deposito di otto milioni di firme alla Conferenza sulla riduzione e limitazione degli armamenti a Ginevra, nel febbraio 1932, alla quale era stata ufficialmente invitata una rappresentanza di donne.
L’a. evidenzia anche le aporie e le ambiguità delle diverse componenti il movimento dalla metà degli anni ’30, quando di nuovo si aprì una frattura. Di fronte al dilemma «guerra o dittatura», da una parte l’invocato rispetto dei vincoli statutari, che obbligavano alla neutralità, servì per un buon tratto a mascherare un deficit di comprensione, di analisi e forse anche di coraggio; dall’altra parte il dovere della scelta di campo e la percezione dell’Urss di Stalin come unico baluardo della pace, portò a mettere in secondo piano gli originari convincimenti democratici.
Infine rivestono particolare interesse le pagine dedicate alla «vicenda esemplare» (p. 191) delle donne italiane, già impegnate per la rivendicazione dei diritti e a sostegno del disarmo, destinate inevitabilmente a soccombere nel confronto con il fascismo.
Se va riconosciuto come ulteriore pregio del volume lo sforzo di contestualizzazione, fuori dal rischio di una storia autoreferenziale e «separata», d’altra parte si deve rilevare una certa difficoltà di lettura, dovuta a qualche ripetizione e, per così dire, all’eccesso di dettagli, in una selva di sigle, iniziative, meeting, congressi.

Marina Tesoro