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La continuità necessaria. Università e professori dal fascismo alla Repubblica

Giovanni Montroni
Milano, Le Monnier, 219 pp., € 17,00

Anno di pubblicazione: 2016

tudio davvero interessante, per varie ragioni e con diverse implicazioni più generali, non compendiabili in poche battute: studio che si raccomanda alla lettura, quindi, e non solo da parte di quanti siano interessati alle specifiche vicende dei professori ordinari in Italia fra fascismo e postfascismo. Anzitutto l’a. chiarisce i termini quantitativi dei vari procedimenti presi in esame: docenti sottoposti ai passaggi dell’epurazione, revisione dei concorsi successivi al 1932 e delle nomine per chiara fama, reintegrazione di quanti erano stati allontanati dalla cattedra per motivi razziali o politici. Il quadro prende così stabilità e consistenza, anche se solo per quel che riguarda i livelli di vertice dell’accademia; ma la scelta mi pare condivisibile, sia per motivi di documentazione, sia per il segno di alcuni percorsi analitici proposti.
«Non vi è dubbio che solo in pochi casi i professori furono costretti a lasciare definitivamente l’università» (p. 8); ma la constatazione non autorizza una liquidazione sommaria degli esiti di quel processo. Varie posizioni individuali vennero modificate, furono incrinati alcuni equilibri consolidati; in vari casi gli epurati furono costretti a lunghe attese prima del rientro. L’iniziale rigore dei procedimenti fu rapidamente smussato, per generali ragioni di contesto – le esigenze di stabilizzazione legate al drastico mutamento del quadro interno e internazionale, l’amnistia del giugno 1946 –, e per il più specifico passaggio da giudizi connotati in senso etico-politico al vaglio formale del Consiglio di Stato; tuttavia, non può essere ignorata «la portata della frattura prodotta dalle epurazioni, non sull’università […], ma sui professori» (p. 45). Lo stesso si può affermare per il riesame dei concorsi e delle nomine governative.
Almeno su due degli aspetti salienti del volume credo vada richiamata l’attenzione. L’esame dei dossier difensivi consente all’a. di illustrare, senza sostanziali cedimenti moralistici, le «strategie di discolpa e di reinserimento» (p. 47) seguite dagli epurandi, un campo discorsivo che è utile percorrere per documentare alcuni aspetti della prima elaborazione del discorso pubblico sul fascismo nella fase di uscita dal conflitto, e la varietà delle motivazioni addotte per dar conto della propria adesione a un’esperienza politica presentata come poco definita nel suo iniziale perimetro ideologico e programmatico. L’intreccio di molte vicende individuali fa poi emergere una valutazione d’insieme della politica universitaria del regime, osservata dal punto di vista del controllo sugli accessi; l’a. insiste sulla gestione prudente del rapporto con la sfera accademica, garantito dalla possibilità di controllo e revisione delle scelte operate nei concorsi. Diverso fu l’impatto del nazionalsocialismo sul corpo accademico, mentre in fondo il regime fascista non si sarebbe proposto di «scardinare un universo sociale fondato sulla pretesa di appartenere a un mondo elitario basato su propri sistemi di relazione» (p. 141). Dolenti, e documentate, le note sulla mancata percezione della «discriminazione antisemita come una ferita profonda» (p. 58).

Mauro Moretti