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La costruzione delle Alpi. Immagini e scenari del pittoresco alpino (1773- 1914)

Antonio De Rossi
Roma, Donzelli, 420 pp., € 38,00

Anno di pubblicazione: 2014

L’a., professore ordinario di Progettazione architettonica e urbana e direttore del
centro di ricerca dell’Istituto di architettura montana del Politecnico di Torino, fissa l’inizio
della sua indagine nel 1773, anno di pubblicazione del volume di Marc-Théodore
Bourrit, Description des Glacières, Glaciers et Amas de Glace du Duchè de Savoye, per concluderla
nel 1914, apoteosi del modello insediativo e turistico della belle époque. Quanto
avvenuto dopo il primo conflitto mondiale sarà indagato dall’a. in un volume ora in corso
di preparazione.
Attraverso una disamina condotta su una grande quantità di iconografie, relazioni
scientifiche, testi letterari, progetti architettonici e materiali di promozione turistica (si
segnala l’ampio apparato iconografico, con oltre un centinaio di immagini a colori), De
Rossi fa emergere il denominatore comune del pittoresco alpino, che dapprima è stato
inventato, e poi ha visto una definizione di valori d’uso e paesaggistici sempre più evoluti.
Nel periodo indagato le Alpi passano, infatti, da luogo repulsivo a spazio di interesse,
attrazione, conoscenza fisica e culturale, per poi divenire meta di una sempre crescente
frequentazione turistica. Questi radicali cambiamenti hanno trasformato le Alpi in un
terreno di studi geologici e in un luogo di costruzione di grandi opere ferroviarie, ma le
montagne hanno fatto anche da scenario a narrazioni letterarie e hanno rappresentato un
laboratorio di creazione e divulgazione di stilemi artistici e progettuali. A questo proposito
è interessante la ricostruzione della genesi e diffusione degli châlet suisse che si sono
disseminati in diverse località alpine e non solo, divenendo un «simbolo fisico dell’individualismo
della piccola borghesia prigioniera del suo conformismo» (p. 116).
L’analisi dei molti temi e riferimenti proposti insiste sostanzialmente sull’area delle
Alpi occidentali e in particolare sulle principali località del turismo montano che si
sono sviluppate in territorio italiano, francese e svizzero. L’a. accenna invece solo molto
limitatamente all’arco alpino orientale e a contesti di fondamentale importanza come
quello delle Dolomiti, del Lago di Garda, o a una località centrale in ambito termale
e curativo come Merano. È probabilmente per questa ragione che nel settimo capitolo
la pratica dell’alpinismo e la fondazione a Torino del Club Alpino Italiano (1863) sono
appropriatamente inquadrati da De Rossi in una dimensione culturale e scientifica priva
di tensioni nazionali. Tuttavia, l’a. non considera poi che con l’inizio del ’900, guardando
alle montagne poste al confine tra Regno d’Italia e Impero austro-ungarico, sono emersi
significati politico-nazionali e contestualmente è maturata all’interno del Cai una dimensione
apertamente irredentista, con manifestazioni di sostegno e vicinanza alla Società
degli alpinisti tridentini (Madonna di Campiglio, 1872) e alla Società alpina delle Giulie
(Trieste, 1883). Nel settembre 1914 si assiste infine a un’assai precoce adesione del sodalizio
alle istanze politiche e territoriali dell’interventismo.

Stefano Morosini