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La cultura degli altri. Il mondo delle missioni e la decolonizzazione

Mauro Forno
Roma, Carocci, 207 pp., € 21,00

Anno di pubblicazione: 2017

«Non ci troviamo più di fronte alla felice semplicità primitiva di un tempo, che fiduciosamente si lasciava dirigere da noi, ma ci sentiamo a contatto con l’affanno incerto e sospettoso di anime sfiduciate che sembra vogliano da sole tentare la lotta per la vita» (p. 56). Così scriveva, nel 1949, il superiore generale dei Figli del Sacro Cuore sul bollettino della congregazione, rivolgendosi ai suoi confratelli missionari in Uganda e Sudan. L’accelerazione della storia che stava per prodursi anche in Africa e che avrebbe condotto alle indipendenze iniziava a essere percepita, e generava entusiasmo e incertezza, aspettative e affanno, nei popoli asiatici e africani e – specularmente ma molto diversamente – in coloro che avevano lasciato la propria terra per intraprendere la missione evangelizzatrice.
La citazione iniziale è tra quelle, numerose, che Forno ha selezionato e proposto nel suo saggio sulle missioni cattoliche italiane negli anni della decolonizzazione, tra il 1945 e il 1965. Per l’a. il mondo missionario visse allora un passaggio essenziale della sua storia, in quanto per la prima volta venne messa in discussione l’idea stessa di missione.
L’a. si interroga sul vissuto dei missionari attivi sul campo, sui legami intrattenuti con i fedeli italiani, sui rapporti con i vertici missionari. La ricerca si basa su due tipi di fonti: le riviste missionarie dell’epoca, le corrispondenze e le relazioni dei missionari con le case generalizie. Circa le prime, la scelta è caduta su sei testate, «espressione di quasi tutti i principali ordini e istituti missionari» (p. 27). Una pubblicistica che tirava nel 1958 circa 800.000 copie mensili e che rappresentava per molti cattolici italiani l’unica finestra sulla realtà del Sud del pianeta: «In pochi altri ambiti, quanto in questo, le narrazioni e i racconti pubblicati dai missionari tendevano a coincidere, nel comune sentire, con l’immagine idealizzata del mondo dei poveri» (p. 26).
Gli archivi centrali o generalizi scandagliati da Forno sono invece quelli dei frati minori cappuccini, dei salesiani, dei comboniani, dei missionari della Consolata. L’attività del Pime e di Piero Gheddo rientra pure nell’analisi del volume, che alterna capitoli di inquadramento generale della problematica missiologica – come i primi due – ad altri, in cui le fonti sono organizzate per temi, dalla promozione delle Chiese locali alla varietà di giudizi e pregiudizi dei missionari nei confronti dei popoli con cui vivono, dall’«incubo» del comunismo e del nazionalismo alla battaglia antiprotestante, alla sfida dell’educazione, all’inculturazione. Posto che la ricerca mira a sottolineare i tratti comuni a esperienze assai variegate per la differenza di luoghi, condizioni e sensibilità dei protagonisti, emerge, in un ventennio caratterizzato da segnali di crisi e da un elevato numero di abbandoni, la forte resistenza al cambiamento e alla trasformazione delle metodologie e delle pratiche pastorali da parte del mondo missionario italiano, che «finì per accettare la prospettiva di una trasformazione, in molti casi non come il frutto di una vera e intima persuasione» (p. 174).

Stefano Picciaredda