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La democrazia del narcisismo. Breve storia dell’antipolitica

Giovanni Orsina
Venezia, Marsilio, 183 pp., € 17,00

Anno di pubblicazione: 2018

Ci domandiamo cosa abbia generato il cosiddetto «populismo», spia della crisi della
democrazia nel tempo presente. Nel ricostruire il divorzio tra politica e cittadini, con un
percorso insieme storico e concettuale, l’a. si muove da lontano, dalle riflessioni di Alexis
De Tocqueville sulla democrazia – le promesse e le tensioni insite nel suo sviluppo – e
giunge fino al trauma di Tangentopoli nell’Italia di fine ’900. Passando attraverso le due
guerre mondiali e uscendone dapprima destrutturata e quindi stabilizzata nei modelli
liberal-democratici del «trentennio glorioso», la democrazia entrò in un corto circuito
dagli anni ’60, generando l’impasse progressiva della politica come progettualità e risposta
alle domande dei cittadini. Nel libro ci si concentra sulle cause endogene della crisi della
politica: «come essa sia nata e si sia sviluppata all’interno della democrazia» (p. 16).
Intanto, muovendosi tra psicoanalisi e storia, nella crisi del «politico» a cosa allude il
concetto di «narcisismo»? Il mito greco ci ricorda che Narciso, contemplando la sua immagine
riflessa nell’acqua, se ne innamorò a tal punto da abbandonarsi alla morte. Come
emerse e cosa implicò la figura del «narcisista» all’indomani del Sessantotto? «L’affermarsi
di questo tipo umano – scrive Orsina – contribuisce a far appassire cinque dimensioni
fondamentali dell’agire politico: potere, identità, tempo, ragione e conflitto» (p. 12). Culture
politiche e governi cominciarono da allora a blandire quella nuova figura di soggetto
sociale e culturale, provocando una catena di cause ed effetti dimostratasi dirompente
nella delegittimazione della politica. La vicenda di Tangentopoli fu fattore e spia, allo
stesso tempo, di una crisi sistemica peraltro in atto, con una paralizzante commistione
tra degenerazione della classe politica e comportamenti di massa fortemente condizionati
dalle pulsioni antipolitiche delle emozioni collettive. La congiuntura degli anni 1992-
1993 fu tale da provocare, in Italia più che in altre democrazie, effetti destrutturanti:
«Le emozioni contrarie alla politica sono sproporzionate rispetto alle cause e condizioni
“oggettive” della crisi. O, per dirla altrimenti – scrive l’a. – alla classe politica vengono
attribuite responsabilità maggiori di quelle che ha» (p. 129).
Come chiave di lettura per comprendere i comportamenti politici e sociali delle «piazze
antipolitiche» (mediatiche e reali) emerse in quel passaggio di crisi della Repubblica, si
usano Elias Canetti e il suo percorso storico-letterario di indagine, compendiato dal classico
volume su Massa e potere (1960). In sostanza, Canetti aiuta a intendere la «democrazia come
un sistema di rimozione delle spine del comando» ovvero come «un sistema di attenuazione
dell’odio mortale che contrappone il potere alla metamorfosi» (p. 137); nel senso che quella
crisi sistemica degli anni ’90 – «le spine del comando nella repubblica dei partiti» – si comprende
meglio riconducendola agli effetti dirompenti che l’accelerazione della modernità
comportò per le metamorfosi umane. Il dilemma con cui ci troviamo a convivere è proprio
che quelle «spine sono in gran parte rimaste» (p. 139).

Maurizio Ridolfi