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La difficile giustizia. I processi per crimini di guerra tedeschi in Italia 1943-2013

Marco De Paolis, Paolo Pezzino
Roma, Viella, 168 pp., € 20,00

Anno di pubblicazione: 2016

Assai prezioso per chiarezza espositiva e per l’autorevolezza dei due aa., il volume ricostruisce la storia della mancata giustizia postbellica per i crimini di guerra nazisti sul territorio italiano. Pezzino affronta il lungo dopoguerra italiano a partire dalla peculiare condizione di paese vittima di stragi di civili e, al contempo, di Stato protettore di quei miliari italiani macchiatisi di crimini di guerra, mai estradati né puniti. La narrazione dà conto sia dell’atteggiamento delle autorità alleate e italiane nell’identificazione dei crimini e dei responsabili, sia di quella mentalità caratteristica di larga parte del mondo militare tendente a proteggere i colpevoli per ragioni corporative e patriottiche (come pure di opportunità politica per un paese che aderisce al blocco occidentale), ma anche della non considerazione del rispetto dei diritti umani e della vita delle popolazioni civili di fronte alle azioni criminali perpetrate dall’occupante in armi.
Pezzino è abile nell’esaminare in parallelo l’interesse italiano al riconoscimento del diritto di gestire le azioni giudiziarie contro i responsabili tedeschi e quello a scongiurare il rischio di denuncia dei crimini italiani su civili e prigionieri di guerra, che tanto avrebbe potuto impattare sulla coscienza nazionale e sul conseguente uso pubblico del passato fascista. In seguito alla rinuncia alleata a perseguire i crimini tedeschi in Italia, fu la normalizzazione politico-culturale postbellica a caratterizzare l’attività inquirente e giudiziaria degli organismi giudiziari italiani che insabbiarono ben presto vicende e responsabili, fino alla scoperta di quell’«armadio della vergogna» illegalmente realizzato nel 1960 dalla Procura generale militare di Roma. Ma Pezzino non si limita alla ricostruzione delle decisioni politiche e giudiziarie e richiama puntualmente la necessità di una cultura della riparazione che dai tribunali possa passare alla coscienza civile degli uomini di oggi attraverso una corretta e non reticente analisi delle responsabilità.
Il saggio di De Paolis ricostruisce l’indagine penale svolta dal 1994 sui processi per crimini di guerra verificatisi in Italia sui civili e all’estero sui prigionieri italiani. La disamina delle due fasi, fra lento invio dei fascicoli alle procure competenti, archiviazioni e istruzione dei processi (la Procura di La Spezia, per ragioni storico-territoriali e per l’impegno del suo esiguo personale ne è stata la principale protagonista), non si limita al piano tecnico-giuridico, ma entra in merito alle scelte e opportunità politiche e alle sensibilità operanti fra attività governativa, parlamentare e giudiziaria. Da apprezzare la nettezza e l’ispirazione civile con la quale De Paolis definisce la grave sottovalutazione «del problema giudiziario e politico costituito dal ritrovamento dei fascicoli occultati» (p. 97).
Agli aa. appare chiaro che la trascuratezza e il lassismo che hanno accompagnato le attività giudiziarie sul tema dei crimini di guerra sono conseguenti a imbarazzi di natura politica di fronte a una giustizia penale balbettante e tardiva.

Simone Duranti