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La guerra civile americana. Una nuova storia

Bruce Levine
Torino, Einaudi, 423 pp., € 32,00 (ed. or. New York, 2013, traduzione di Cristina Spinoglio)

Anno di pubblicazione: 2015

Allievo del grande storico sociale Herbert Gutman e da tempo, a sua volta, uno dei massimi studiosi della guerra civile, l’a. affronta il conflitto dal punto di vista del Sud. E conferma le doti di acuto studioso manifestate sin dal primo lavoro, The Spirit of 1848, dedicato ai «quarantottardi» tedeschi emigrati negli Usa all’epoca del conflitto e arruola- tisi nelle file nordiste, e poi in Confederate Emancipation, sui tardivi e ambigui tentativi dei piantatori di manomettere gli schiavi. Sulla base di quest’ultima ricerca, l’a. liquida ogni romanticheria filosudista e in pagine di rara efficacia narrativa ribadisce la natura dei piantatori come élite agraria impegnata esclusivamente a difendere i propri privilegi.
Quindi concentra l’attenzione su quel terzo della popolazione sudista composto da- gli schiavi. Di questi ultimi, integrando fonti primarie e la più aggiornata letteratura, l’a. traccia la travagliata maturazione individuale e collettiva, prima e dopo il Proclama di Emancipazione e l’arrivo delle truppe nordiste al Sud. Mostra come, superando enormi e comprensibili difficoltà, essi impararono ad alzare la testa, dopo due secoli e mezzo di cattività. Sull’esempio dei loro compagni del Nord, che si erano costituiti in formazioni volontarie dandosi nomi apparentemente fantasiosi, ma che riflettevano la consapevolez- za della loro storia come quello di «Guardie di Annibale», gli ex schiavi si fecero avanti, abbandonarono i piantatori al loro destino e si offrirono di arruolarsi nell’esercito unio- nista. Ne ricevettero dapprima rifiuti, in nome del pregiudizio razziale forte anche al Nord, poi l’accettazione come ausiliari e infine come soldati a pieno titolo. E pagarono un prezzo altissimo, come in occasione del cosiddetto «massacro di Fort Pillow», quando, nel maggio del 1864, fatti prigionieri dalle truppe del generale Nathan Bedford Forrest (futuro fondatore del Ku Klux Klan) nel Tennessee occidentale, furono ignominiosamen- te passati per le armi, in violazione di qualunque codice militare e a dispetto delle vuote dichiarazioni sudiste di rispetto dell’«onore».
Secondo la periodizzazione suggerita da Eric Foner, della travagliata esperienza di presa di parola sviluppata dai neri durante la guerra l’a. segue gli esiti nel dopoguerra, ricordando come quella stagione di libertà si sarebbe esaurita, di fatto, nell’arco di pochi anni, dinanzi al ritorno del potere bianco, con l’appoggio degli stessi nordisti più mo- derati. Ma, sottolinea l’a., come scrisse lo studioso nero W.E.B. DuBois, «i neri del Sud dopo la Ricostruzione furono costretti a regredire verso la schiavitù, non nella schiavitù» (p. 374).
Il risultato è dunque un affresco di raro rigore scientifico che è auspicabile, data la sua brillantezza narrativa, incontri il favore di un pubblico non solo accademico.

Ferdinando Fasce