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La guerra di Bruno. L’identità di confine di un antieroe triestino e sloveno

Marta Verginella
Roma, Donzelli, 221 pp., € 26,00

Anno di pubblicazione: 2015

In questo lavoro Verginella ricostruisce il vissuto di Bruno Trampuž, un ordinary
man (un «antieroe» lo definisce l’a.) sloveno, travolto dal vortice del secondo conflitto
mondiale e coinvolto in successive, contraddittorie scelte di campo. Il saggio fornisce un
contributo innovativo, sia rispetto alla storia culturale della seconda guerra mondiale,
che relativamente alla storia della mentalità degli sloveni del Litorale. L’a. può avvalersi al
riguardo di una base documentaria di prim’ordine, rappresentata da un diario di guerra
in sloveno, tenuto con regolarità dal novembre 1942 al maggio 1945, e dal corposo carteggio
di Trampuž con la fidanzata e, in seguito, moglie. Poiché, apparentemente, il diario
non fu rimaneggiato dall’a. in tempi successivi, esso permette di ricostruire le fratture e
rinegoziazioni identitarie cui Bruno andò incontro nel corso delle vicende belliche.
Bruno nasce a Trieste da genitori sloveni nel 1909, suddito dell’Impero asburgico.
Divenuto adulto durante il fascismo, si impiega in attività modeste e temporanee. Non è
un militante, tuttavia l’appartenenza al milieu sloveno di Trieste rappresenta per lui una
componente identitaria forte, che non viene meno in nessuno dei successivi passaggi esistenziali,
scanditi dalle circostanze belliche. La frequentazione dell’ambiente sloveno e un
generico antifascismo sono sufficienti per attirare l’attenzione dell’apparato repressivo del
regime: nel 1940 e nel 1941 Bruno è imprigionato due volte per brevi periodi e inviato
infine per alcuni mesi al confino a Oppido Lucano, che nelle lettere di Bruno presenta
somiglianze evidenti (e, in una certa misura, sorprendenti) con l’Aliano descritto da Carlo
Levi in Cristo si è fermato ad Eboli. Rientrato a Trieste, il nostro antieroe trova appena il
tempo di sposarsi prima di essere richiamato alle armi, sul fronte tunisino.
Bruno non partecipò a operazioni belliche e non soffrì la fame. Della propria esperienza
bellica riportò un ricordo positivo. Dopo la sconfitta dell’Asse sul teatro dell’Africa
del nord, Bruno Trampuž è fatto prigioniero dagli inglesi. In questa fase ha luogo la sua
«politicizzazione», in quanto aderisce prima alla Jugoslavia monarchica e, successivamente,
all’esercito di liberazione nazionale di Tito. Dal diario si evince quella che l’a. definisce,
con locuzione calzante, una rinegoziazione di identità. Bruno si trasforma, ora, prima
in un nazionalista jugoslavo e poi in un fautore della Jugoslavia socialista. In questa fase
emergono con forza, nella scrittura diaristica, due elementi che contribuiranno a caratterizzarla
fino alla brusca interruzione del diario verso la metà del maggio 1945: a.) l’odio
per gli italiani; b.) la costruzione della propria vicenda e di quella degli sloveni in generale
in termini di «martirologio». È questa la parte più interessante e innovativa del saggio,
dove è affrontato in modo originale e documentato uno dei problemi più complessi dei
cultural studies, ossia quali siano i «dispositivi», all’interno dei quali si affermino discorsi
di auto vittimizzazione e narrazioni di contrapposizione nazionale.

 Marina Cattaruzza