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La guerra sulla carta. Il racconto del primo conflitto mondiale

Giovanni de Leva
Roma, Carocci, 280 pp., € 29,00

Anno di pubblicazione: 2017

Giovanni de Leva esamina in questo libro i diversi «prodotti» letterari che raccontano
la Grande guerra, scritti da autori anche insigni della nostra letteratura (come Gadda,
Comisso, Marinetti e altri) o da qualche semplice testimone popolare dalla scrittura incerta,
ma tuttavia latore di una verità cruda (come Rabito) e rappresentativa della voce più
intima del popolo contraria alla guerra, contrapposta alla voce della borghesia invischiata
nel mito dell’intervento come seguito ideale delle lotte risorgimentali.
L’a. inizia la sua rassegna dalle narrazioni belliche ottocentesche dell’Italia unita. E
così si parte dall’antimilitarismo provocato dalla leva obbligatoria di Tarchetti, cui in certo
modo si oppone De Amicis, che trasfonde nel cameratismo della vita militare l’idea di una
sorta di ambiente ideale, di un’educazione alla disciplina patriottica. A questo seguono
considerazioni sulla letteratura «garibaldina» (Nievo, Bizzoni, Mario), improntata alla
rappresentazione di un volontariato irregolare e tendenzialmente «sociale».
Riflessi negativi della guerra già sono in Verga (disastro di Lissa), mentre nella concezione
sentimentale di Cuore di De Amicis si viene profilando una retorica dell’utilità
morale dell’esercito, nel quale si debbono integrare in un abbraccio di classe l’ufficiale
e il soldato, salvo ripensamenti nel romanzo Primo maggio, in cui emerge l’inquietante
distanza tra proletariato e classi dirigenti.
De Leva passa poi a considerare i lasciti dell’espansionismo coloniale italiano nella
pubblicistica di scrittori quali D’Annunzio e Oriani, quasi preludenti all’interventismo e
persino al fascismo. E dopo l’esperienza coloniale della Libia (che inebria anche il Pascoli)
il dibattito letterario allo scoppio della guerra in Europa si sviluppa tra interventisti e
neutralisti. Preponderanti ai fini dell’intervento si riveleranno gli atteggiamenti bellicistici
dei futuristi, la foga di D’Annunzio, il consenso di intellettuali come Papini e Prezzolini,
la sofferta adesione di Serra. Sul piano giornalistico, a conflitto iniziato anche in Italia, si
mettono in luce le considerazioni di Barzini sulla guerra moderna di trincea e di Mussolini
sulla psicologia di massa dei soldati.
Nel capitolo Al fronte si trattano specie quegli scritti che nascono nella mischia della
battaglia. E così entrano in gioco i Taccuini di D’Annunzio, il Diario di Gadda, la prosa
lirica di Jahier. De Leva si sofferma maggiormente sugli scrittori più rappresentativi (Pirandello,
Borgese, De Roberto, Salsa, Stuparich, Gadda), tessendo tra essi una fitta rete
di relazioni, che costituisce la parte più preziosa del libro, in quanto serve a stabilire un
profilo critico di posizioni ideologiche, politiche e morali rappresentative di un momento
cruciale della nostra storia nazionale. E individua alla fine nelle note di Gramsci contenute
nei Quaderni e nel romanzo memoriale di Lussu, Un anno sull’Altipiano (1938), rispettivamente
le meditazioni più lucide sulla guerra e il reportage più combattivo dell’antifascismo
militante.

Antonio Daniele