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La scuola a Belluno nel Novecento. L’esperienza di Antonio Pastorello, direttore didattico 1904-1926

Ferruccio Vendramini
Verona, Cierre, 312 pp., € 14,00

Anno di pubblicazione: 2018

Con questo lavoro l’a. conclude la sua ricerca sulla scuola bellunese tra ’800 e ’900,
dopo le pubblicazioni già dedicate alle figure di Francesco Gazzetti, don Angelo Volpe e
Pierina Boranga. Prolifico autore di storia locale e sostenitore convinto dell’importanza
della scuola, ha indagato largamente questo campo di studi.
La scuola bellunese, nell’arco cronologico considerato nel volume, deve tenere conto
delle esigenze di un territorio particolare, provincia di confine e di emigrazione, e
misurarsi con i cambiamenti introdotti dalle politiche educative nazionali nel trapasso
dal liberalismo al fascismo. In questo contesto assumono un ruolo importante i direttori
didattici, funzionari che si muovono tra la dimensione locale e i doveri nazionali.
La narrazione segue un andamento cronologico, che consente di evidenziare continuità
e cambiamenti nel susseguirsi delle amministrazioni di diverso colore e delle varie
leggi di riforma scolastica. La prospettiva alla quale si ispira Pastorello, richiamandosi ad
Aristide Gabelli (nato a Belluno), è quella di una scuola popolare ma non uguale per tutti,
che abbia la doppia finalità di fornire un’istruzione elementare di base e preparare a studi
secondari, tenendo conto delle differenze sociali e culturali di partenza, secondo la misura
del «né troppo, né troppo poco».
Le fonti utilizzate sono documenti conservati nell’Archivio comunale, in particolare
le relazioni dei direttori didattici, ampiamente citate. Ne emerge un quadro socioculturale
caratterizzato, soprattutto nelle valli e nelle campagne, da assenze ed evasione
dell’obbligo, da classi numerose e carenze di personale, da ambienti scolastici insufficienti
e inadatti. Particolarmente precaria la condizione delle maestre, tanto più se ausiliare e
sostitute, sottopagate, alle quali si ricorre per risparmiare. Un quadro che esige attenzione
da parte delle amministrazioni comunali postunitarie.
Un forte investimento è messo in atto dal sindaco Vittorio Zanon, esponente del
blocco radical-democratico che vince le elezioni nel 1905, al quale Pastorello riconosce il
merito di essere riuscito nel «miracolo» di realizzare una serie di edifici scolastici. Identificandosi
pienamente nel ruolo di funzionario dello Stato, rispettoso dell’autorità, il nostro
può transitare, senza speciali traumi, dal sostenere un «insegnamento democratico»
che forma uomini liberi, all’adesione al fascismo, passando attraverso l’interventismo. La
Grande guerra – crinale che sospinge molti ad approdare al nazionalismo, in queste terre
vicine al fronte e occupate per un anno dall’esercito austriaco – ha qui conseguenze pesanti.
Nel 1920 vince le elezioni un sindaco socialista, Vincenzo Lante. Nel 1922 le camicie
nere occupano il Comune. Pastorello aderisce al nuovo regime auspicando la fine del
«disordine» che aveva caratterizzato il dopoguerra, con alunni indisciplinati e insegnanti
«ribelli», poiché «oggi le cose sono mutate e speriamo che in tutti entri la coscienza del
dovere, della disciplina, del sacrificio pel bene della Patria» (p. 218).

Maria Teresa Sega