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La Sicilia e l’Italia. I protagonisti delle istituzioni tra Ottocento e Novecento

Giuseppe Astuto, Elena G. Faraci
Acireale-Roma, Bonanno, 342 pp., € 30,00

Anno di pubblicazione: 2018

Scritto a quattro mani da due storici delle istituzioni politiche, e «progettato nell’ambito
dell’attività scientifica» della relativa cattedra presso l’Università di Catania (p. 13), il
volume può leggersi come il tentativo, ben riuscito, di ricostruire i percorsi di formazione
della classe dirigente siciliana e il suo impegno al lato della politica e delle istituzioni.
La tradizione di studi a cui gli scritti si riconnettono è quella che da Giarrizzo in
avanti ha tirato fuori la Sicilia e il Mezzogiorno dalle secche dell’immobilismo e della subalternità,
proponendone una lettura che doveva fare i conti con una storia più generale,
cioè quella europea, a partire dalla quale fosse possibile ricostruire la trama dei molteplici
aspetti culturali e la formazione, sei-settecentesca, delle configurazioni del potere, che era
poi l’indagine sulla cultura, sulla religione, sul secolo dei lumi e delle riforme; era la storia
degli intellettuali quali attori consapevoli del gioco politico, della loro partecipazione alla
costruzione delle istituzioni. In tale logica, anche attraverso l’utilizzazione di una ricca
serie documentaria, che in generale sostiene le diverse parti del libro, la prima delle esperienze
a essere ricostruita e indagata è quella relativa alla vicenda costituzionale del 1812: i
progetti di riforma, la crisi e il suo fallimento. E qui, dunque, Paolo Balsamo e i suoi studi
di economia agraria, l’impegno politico e la ricerca di una specifica identità siciliana. È la
ricerca di una parte assai ampia del ceto dirigente siciliano, di una condizione che a volte
verrà declinata all’interno delle rivendicazioni indipendentiste, a volte entro la cornice
autonomista.
Vi è poi, la Rivoluzione del 1848, con Francesco Paolo Perez e Michele Amari, cioè,
il racconto della tradizione democratica e federalista che ruota attorno ai progetti autonomisti
e riformisti, ricondotti dagli aa., nel prosieguo del lavoro, a quelli regionisti di
Crispi e di Rudinì, al netto delle riforme guidate dall’alto e delle torsioni autoritarie dello
Stato costituzionale italiano. In termini più problematici è posta la vicenda del marchese
di San Giuliano, che costituisce una proposta, e una riflessione, sulla necessità di indagare
in maniera più approfondita la questione della politica estera e dei progetti di sviluppo
economico che guardano al Mediterraneo come ad una opportunità. Vi è, infine, la ricostruzione
del periodo assai travagliato che si apre in Sicilia dopo lo sbarco del contingente
anglo-americano. È il racconto di alcuni dei protagonisti della stagione costituente siciliana,
tra spinte separatiste, impostazioni riparazioniste e approdo autonomista.
Si tratta di una vicenda assai complessa, i cui tratti essenziali, nella sintesi proposta,
sono ben evidenziati, tanto dal lato del riemergere dei «cascami» del sicilianismo di marca
separatista, quanto da quello che si riconnette alla tradizione autonomista e riformista.
È, dunque, com’era nelle intenzioni degli aa., il racconto della «nazione» siciliana sino al
compiersi dell’autonomia attraverso la concessione dello statuto speciale.

Luigi Chiara