Cerca

La Terza Italia. Reinventare la nazione alla fine del Novecento

Francesco Bartolini
Roma, Carocci, 155 pp., € 17,00

Anno di pubblicazione: 2015

Le tre Italie era il titolo di un fondamentale saggio pubblicato dal sociologo Arnaldo
Bagnasco nel 1977, in cui la «terza Italia» rimandava a quella delle piccole e medie
imprese, in grado di configurare non solo un nuovo modello industriale ma un’idea di
nazione, diversa da quella contadina e da quella della grande industria. E proprio lo studio
di quest’idea è al centro del volume di Francesco Bartolini. Un lavoro, sia chiarito subito,
in cui l’a. è meno interessato a spiegare se e quanto l’Italia della piccola impresa sia stata
realmente così importante, e piuttosto a mostrare il gioco delle rappresentazioni e delle
appropriazioni costruite attorno a questa immagine. Per capirci, non è un lavoro di storia
economica o sociale, ma di storia della cultura.
Nei primi capitoli l’a. mostra, infatti, come l’idea della tripartizione del paese, carica
di passato, si rimodelli in forme nuove negli anni successivi al boom. Il cambio di paradigma
avviene, secondo l’a., proprio nella fase matura del miracolo economico, quando si
producono processi che trasformano la periferia in centro, spostando l’asse della centralità
economica del paese dai tre grandi centri, Milano, Torino, Genova alla dorsale adriatica,
alla provincia lombarda, emiliana, toscana e marchigiana. Nella rappresentazione della
terza Italia il passaggio dal centro alla periferia porta all’emersione di ceti medi produttivi
che, sul versante imprenditoriale, nascono più dalla riconfigurazione di attori precedentemente
impegnati in attività contadine e operaie che dalla autoriproduzione del ceto
imprenditoriale.
È tutta una nuova società, quella della terza Italia, che ha la propria rappresentazione
plastica negli anni ’80. E che ovviamente non poteva che essere guardata con interesse dai
partiti di massa, a cui è dedicato l’ultimo capitolo: del resto mentre la Dc controlla politicamente
una parte dei territori in cui fioriscono le piccole imprese (Veneto, Lombardia
e Marche), l’Emilia Romagna e la Toscana sono appannaggio del Pci. Anche se il partito
che meglio coglie nei suoi caratteri queste trasformazioni è il Psi di Craxi, più collocato
al centro (da un punto di vista geografico), cioè a Milano, che in periferia, dove tuttavia
governa nei Municipi e nelle Regioni, ora con la Dc ora con il Pci.
L’ideologia – in senso positivo – dell’Italia nuova non sembra tuttavia riuscire a modernizzare
più di tanto i partiti di massa, che a dispetto delle loro constituency, rimangono
legati, soprattutto il Pci, a un modello fordista, già in declino negli anni ’70. Inoltre, i
partiti di massa non riescono a trasformare quel sommovimento sociale a cui assistono
in un’occasione per aprire la formazione della loro classe dirigente, che resta in buona
sostanza chiusa e diffidente agli animal spirit del mercato. Quando questo mondo della
terza Italia non si sentirà più rappresentato, i partiti se ne renderanno finalmente conto,
ma sarà troppo tardi.

 Marco Gervasoni