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La verità del male. Eichmann prima di Gerusalemme

Bettina Stangneth
Roma, Luiss University Press, 604 pp., € 24,00 (ed. or. Zürich, Arche, 2011, traduzione di Antonella Salzano)

Anno di pubblicazione: 2017

La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), il reportage della filosofa Hannah Arendt per il «New Yorker», è divenuto da tempo uno dei libri cardine del ’900, molto spesso citato e troppo spesso citato a sproposito. Questa ricerca storica e filosofica, opera anch’essa di una studiosa tedesca, costituisce una notevole acquisizione per la ricostruzione della figura di Eichmann e in genere per l’interpretazione del ruolo dei più alti (e non solo dei più alti) burocrati nazisti. Essa è quasi un’integrazione a – un «dialogo con», la definisce l’autrice (p. 19) – l’interpretazione proposta da Arendt.
Il libro si basa sulla riscoperta e analisi di alcune interviste e colloqui di Eichmann con il giornalista di origine olandese, già collaborazionista nazista, Willem Sassen (il padre della sociologa Saskia, intervistata per il volume), registrati in Argentina negli anni ’50, solo parzialmente editi nella rivista «Life» e già utilizzati nel processo di Gerusalemme. Da queste conversazioni emerge un Eichmann ancora convinto antisemita, che rivendica con fierezza il progetto genocida della «soluzione finale». Alcuni anni dopo la sua fuga dall’Europa, nel contesto di circoli sudamericani filonazisti a lui particolarmente simpatetici, mentre vive sotto una nuova identità (ma è ben noto ai suoi sodali, tra cui l’aiutante capo di Himmler, Ludolf von Alvensleben), il gerarca tedesco si lascia andare con compiacimento alla rievocazione delle sanguinarie azioni del Terzo Reich nel corso della guerra mondiale; e continua ad aderire pienamente alla costruzione ideologica nazista violentemente antisemita.
L’Eichmann fiero genocida e sanguinario antisemita non deve tuttavia essere ritenuto in contrasto con l’immagine emersa dal processo di Gerusalemme e resa quasi proverbiale dalle pagine di Hannah Arendt: quella cioè di un grigio burocrate che aveva obbedito agli ordini ed era divenuto ingranaggio, benché considerevole, della macchina dello sterminio. Un uomo quasi incapace di provare sentimenti compassionevoli e solo preoccupato dei propri doveri e della propria carriera. In realtà, il gerarca nazista sembra aver mostrato facce diverse a seconda degli uditori cui si rivolgeva e delle situazioni in cui si trovava, presentando – evidentemente con fini strumentali – aspetti diversi della propria personalità ed esperienza. Soprattutto, per portare a termine la tentata distruzione degli ebrei d’Europa occorreva essere sia carnefici ideologicamente motivati che scrupolosi ed efficaci burocrati. Assieme ad altri fattori, la Shoah fu infatti resa possibile, certamente ai vertici del Reich e dei regimi collaborazionisti, da queste diverse motivazioni o, meglio, formae mentis, che si trovarono riunite nella figura di Eichmann. Una figura – grazie anche a questo libro, assieme allo studio classico di Arendt e alla importante biografia dedicatagli dallo storico David Cesarani nel 2004 – ora finalmente consegnata alla storia, ma che resterà allo stesso tempo simbolo degli orrori del XX secolo.

Simon Levis Sullam