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L’abolizione della schiavitù nelle colonie francesi. Il rapporto della commissione Broglie (1840-1843)

Claudia Giurintano
Milano, FrancoAngeli, 157 pp., € 19,00

Anno di pubblicazione: 2016

Lo studio si concentra sul caso della Francia di Luigi Filippo, entrando nel dettaglio dei lavori della Commission des affaires coloniales, il corpo consultivo istituito nel 1840 col mandato di riprendere in esame la questione nelle colonie. L’istanza era di speciale urgenza dopo che l’iter dell’abolizione britannica, fra il 1834 e il 1840, aveva emancipato gli schiavi nei territori vicini. La Commissione includeva sinceri abolizionisti, come il duca Victor de Broglie, che la presiedeva, Alexis de Tocqueville (protagonista della Commissione parlamentare sulla schiavitù del 1839), Hippolyte Passy e altri, insieme a membri in vario grado contigui agli interessi dei padroni di schiavi.
I lavori si trascinarono fino al 1843, in una difficile mediazione di compromesso fra l’opzione dell’abolizione generale e simultanea, e un approccio gradualista che di fatto adombrava intenti dilatori e pressioni a difesa dello status quo. Le raccomandazioni e i progetti di legge prodotti dalla Commissione – che fissavano al 1853 la data dell’emancipazione definitiva – riscossero anche consensi, ma per altri versi scontentarono molti abolizionisti senza soddisfare i conservatori. E comunque si dovette attendere la Rivoluzione del 1848 perché la schiavitù fosse finalmente cancellata per legge, con quattordici anni di ritardo rispetto alla Gran Bretagna.
Dopo una contestualizzazione del dibattito sulla schiavitù – specie in ambito cattolico – e del movimento abolizionista, Claudia Giurintano ricostruisce lavori, difficoltà, risultati ed effetti della Commissione Broglie attraverso un contrappunto di citazioni tratte dalla documentazione da questa prodotta, da altre fonti dell’epoca e da alcuni studi più tardi. Il breve volume rende conto di un articolato dibattito interno al mondo intellettuale e politico francese dell’epoca su temi che chiamano in causa in maniera prepotente i rapporti fra etica, diritti e interessi. Tuttavia l’analisi rimane troppo fortemente aderente a linguaggi, terminologie e interpretazioni delle fonti ottocentesche utilizzate. Lo studio avrebbe sicuramente tratto beneficio da uno sguardo più attento alla vasta storiografia recente su questi temi – inclusi proprio i contesti specifici dell’abolizione nelle colonie francesi – aggiungendo chiarezza alla trattazione di categorie complesse e dibattute come schiavitù ed emancipazione, ma anche aprendo utili squarci sulla parte giocata dagli schiavi stessi – non solo i loro padroni o i loro difensori – in questo processo fondamentale nella storia della Francia dell’800.

Pierluigi Valsecchi