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L’amministrazione Nixon e il continente africano. Tra decolonizzazione e guerra fredda (1969-1974)

Antonio Donno, Giuliana Iurlano (a cura di)
Milano, FrancoAngeli, 2016, 324 pp., € 28,00

Anno di pubblicazione: 2017

Il volume collettaneo esamina le principali direttrici della politica estera americana verso il continente africano durante il quinquennio 1969-1974 utilizzando una duplice lente analitica. Da un lato, alcuni contributi sono dedicati a una disamina a livello macro delle politiche concepite dal duo Nixon-Kissinger. Dall’altro, sono presi in esame casi di studio specifici, il Sudafrica, la Nigeria, la Rhodesia, l’Egitto, il Congo, che permettono di evincere le modalità concrete attraverso le quali si esplicò la politica africana di Nixon nella sua interazione con gli attori locali.
Il volume dedica un’attenzione particolare all’Africa subsahariana, che diventa oggetto dell’interesse strategico americano tardi, se si paragona all’attenzione riservata invece all’Africa araba e al Medio Oriente, e all’Africa australe. Emerge come il crescente interesse rispetto «all’Africa nera» sia il frutto di un contesto internazionale mutevole, in cui si intrecciano le dinamiche bipolari, i sommovimenti connessi al processo di decolonizzazione e l’interesse verso l’area manifestato dalla Cina.
L’analisi, pur prendendo le mosse dalle amministrazioni Kennedy e Johnson, si concentra sulla «svolta politica di Nixon e Kissinger verso i problemi dell’Africa» (p. 15). La novità nella politica africana consisteva in primis nel superamento della prassi di Johnson di «trattare le questioni africane solo in casi d’emergenza e all’interno di consessi internazionali» e nell’emergere, sin dal tour diplomatico compiuto dal segretario di Stato Rogers nel 1970, di «una maggiore sensibilità nei confronti dell’Africa» (pp. 44 e 88). In secondo luogo, in questo frangente, si affermava la convinzione che la politica africana dovesse fondarsi su «rapporti “diretti” tra gli Stati Uniti e gli Stati coloniali africani o quelli di nuova indipendenza», marginalizzando le ex potenze coloniali europee (p. 252).
Il volume, basato su di un cospicuo corpo di fonti primarie, ricostruisce in maniera efficace la crescente attenzione riservata dall’amministrazione Nixon all’Africa australe e sub-sahariana alla luce delle dinamiche bipolari. Emerge appunto come l’Africa finisca con l’essere risucchiata nelle logiche della guerra fredda, diventando un terreno di competizione, sia pure a bassa intensità, in un momento in cui le due superpotenze sono contemporaneamente impegnate nel processo di détente. Tale duplice dinamica, la distensione e la competizione, e soprattutto le contraddizioni che essa comportava sono particolarmente evidenti nel caso dell’Africa australe. Proprio rispetto al Sudafrica, infatti, se Mosca era costretta a un atteggiamento moderato per non sacrificare la distensione, Washington si trovava nella scomoda posizione di sostenere un regime razzista pur di limitare l’influenza sovietica nell’area

Angela Santese