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Laura Cerasi – Perdonare Marghera. La città del lavoro nella memoria post-industriale – 2007

Laura Cerasi
Milano, FrancoAngeli, 190 pp., Euro 16,50

Anno di pubblicazione: 2007

A Marghera, sono trascorsi sì e no trent’anni fra la posa della prima pietra e l’inizio della fine. Al 1917 risale il lancio di un progetto ambizioso ma, già negli anni ’70, si avvertono i primi pesanti cedimenti nel processo di industrializzazione. Sotto i colpi di una crisi irreversibile, comincia allora a vacillare l’identità di Marghera e di Portomarghera, del quartiere e del porto industriale che tendiamo sommariamente a tenere uniti: soprattutto le cronache più recenti ci hanno restituito un quadro di conflitti tra chi sta dentro e chi sta fuori la fabbrica, tra chi ne richiede la chiusura e chi si batte per la sua sopravvivenza.Da qui parte Laura Cerasi per descrivere una «memoria non-condivisa» attraverso testimonianze, interviste, stralci di processi. Sullo sfondo, la mole sinistra del Petrolchimico sembra identificarsi tout court con Portomarghera: da lì giungono gli attentati alla salute collettiva e le morti di cancro per gli addetti al reparto CVM. «Residuo tossico di una storia conclusa», la vicenda di Marghera si arresta al capolinea di una sensibilità post-industriale che giustamente pone oggi in primo piano i prezzi da pagare.A metà strada tra cronaca e storia, il racconto scorre agile senza mai essere né banale, né superficiale: diretta o indiretta, la testimonianza offre ogni volta l’incipit alla narrazione che procede per quadri distinti. Le vicende e i drammi individuali si inseriscono così in un contesto più ampio ove problemi di strategia industriale e sociale si riflettono, a loro volta, nelle biografie dei singoli. In questo equilibrio narrativo consiste uno dei maggiori meriti del volume.Descritta in forma paratattica, la storia si incardina sulle fonti orali, approdando alla conclusione che Marghera possieda soltanto frammenti di una possibile «identità condivisa»: le tante «memorie individuali» non concorrono infatti a formare un insieme, ma una galassia del «vissuto». Ad un dato contingente (la crisi del modello di cultura operaia) si aggiunge un fattore strutturale legato alla vicenda del popolamento della città-fabbrica: secondo un’ipotesi da verificare fino in fondo, Cerasi assegna il ruolo di protagonista al flusso migratorio dalla campagna, non al processo di decentramento dal centro lagunare. A partire da questa premessa, molte interviste ci restituiscono il profumo della nostalgia per un mondo rurale e semi-rurale drammaticamente travolto dal Golem industriale.Resta il dubbio che, per quanto suggestiva, questa ipotesi non possa essere delegata alle sole testimonianze orali: potrebbero venire in soccorso altre fonti, in particolare quelle demografiche legate ai censimenti e all’analisi dei flussi migratori. Tanto più che a Venezia operano istituti come il COSES che dal 1967 raccoglie dati sulla popolazione dell’intero comprensorio. In attesa di ulteriori verifiche, il libro ci offre comunque una prospettiva attualizzata e originale di un problema che affonda le sue radici nel secolo passato: il sogno industrialista catapultato tra la laguna di Venezia e il profondo Veneto di stampo rurale.

Guido Zucconi