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Le due battaglie dell’Atlantico. La guerra subacquea 1914-1918 e 1939- 45

Antonio Martelli
Bologna, il Mulino, 377 pp., € 25,00

Anno di pubblicazione: 2015

Il volume affronta due aspetti decisivi delle due guerre mondiali: le campagne per il
controllo delle comunicazioni oceaniche. Un tema di grande interesse, che contrasta con
la scarsa attenzione ai problemi marittimi che caratterizza gli studi italiani sui due conflitti.
Il libro, di alta divulgazione, si muove in una prospettiva tradizionale di storia della
strategia e delle operazioni. Le fonti sono prevalentemente secondarie e nella bibliografia la
pubblicistica domina rispetto alla letteratura scientifica, mentre rilevante è la mancanza di
alcuni studi cruciali sul tema, tra gli altri quelli di H. Herwig (1980) e W. Rahn (1990).
Nel testo sono analizzate, dando ampio spazio agli aspetti tecnici, la guerra sottomarina
del primo conflitto mondiale, la rinascita della marina tedesca e la seconda campagna contro
le comunicazioni alleate del secondo conflitto mondiale. L’impostazione narrativa privilegia
eccessivamente il secondo conflitto rispetto al primo, dedicandovi il triplo delle pagine.
Il problema posto al centro della narrazione è la reazione della Germania alla propria
inferiorità navale e geografica, che la indusse a puntare sulla guerra subacquea. La tesi di
Martelli è che in ambedue le guerre la sconfitta degli U-boot fu causata dalla mancata
comprensione del potenziale decisivo che potevano avere: se la Germania avesse puntato
subito sui sommergibili i risultati sarebbero stati diversi, come dimostra il quasi collasso
delle comunicazioni avversarie nel 1917 e nel 1942.
L’interpretazione dell’a. non convince del tutto, specie alla luce della letteratura recente
(si veda L. Sondhaus, 2014), la quale ha evidenziato che gli alleati non subirono
mai una crisi dei rifornimenti. L’assunto che puntando subito sui sommergibili i risultati
sarebbero stati maggiori può essere oggetto di discussione: prima del 1914 nessuno ne
ipotizzava un impiego contro il traffico; nel 1939 le priorità erano gli armamenti terrestri
e aerei, che consentirono alla Germania le vittorie del 1939-1941. Il testo non offre un
vero confronto tra le due campagne e un’analisi dell’evoluzione del pensiero strategico
navale tedesco, concentrandosi sugli aspetti operativi. Così viene a mancare una piena
comprensione del problema strategico che la Germania affrontava: in ambedue i conflitti
le risorse tedesche erano insufficienti per combattere una guerra globale contro gli alleati,
dotati di una base tecnologica e industriale superiore.
L’a. invece privilegia la tesi secondo cui con un maggiore numero di unità la situazione
si sarebbe evoluta in favore dei tedeschi. Ma più il contingente subacqueo si ampliava
più diminuiva la sua efficienza, per il minor addestramento e l’impossibilità di introdurre
nuovi modelli: un problema generale della guerra tedesca. Si entrava così in una logica
di attrito, nella quale gli avversari dimostrarono, in entrambe le guerre, una maggiore
capacità di adattamento, grazie anche a intelligence e risorse superiori. Pur con questi
limiti, va riconosciuto all’a., recentemente scomparso, di essersi concentrato su un tema
importante e troppo trascurato dagli studi italiani.

 Fabio De Ninno