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Le montagne della patria. Natura e nazione nella storia d’Italia. Secoli XIX e XX

Marco Armiero
Torino, Einaudi, 255 pp., € 28,00 (ed. or. Cambridge, 2011)

Anno di pubblicazione: 2013

L’a., studioso di storia ambientale e del territorio, si cimenta in maniera originale
con un inquadramento della questione montana in Italia dopo l’Unità. Questa edizione
è la traduzione di un testo originariamente uscito in inglese, con un titolo ben più suggestivo
(A Rugged Nation. Mountains and the Making of Modern Italy). Armiero affronta un
tema rilevante sul piano simbolico, sociale ed economico nonché fisico, e tuttavia ingombrante
dal punto di vista storiografico: quanto la montagna è una presenza assillante nel
dibattito pubblico fra ’800 e ’900, tanto si è eclissata negli anni dello sviluppo economico
post-bellico. Non è certo un caso quindi che i poli cronologici di questo lavoro vadano
dall’unificazione nazionale al disastro e alla tragedia della diga del Vajont, là dove – all’interno
dei meccanismi predatori di certo sviluppo italiano – si riannodano molti fili di una
vicenda secolare che termina con le «montagne in dissoluzione» (p. 189).
Il fatto che l’Italia sia un paese geograficamente condizionato da montagne e colline
non ne ha predeterminato la costruzione sociale come territorio, né peraltro il significato
culturale del suo spazio fisico è stato sempre univoco e conseguente. Anche se «le
montagne non si sono spostate […] il loro posto nella mappa della nazione è cambiato
radicalmente» (p. XII). In Europa «la genesi dei paesaggi nazionali» costituisce uno dei
filoni più innovativi della recente storiografia ambientale. L’obiettivo dell’a. è studiare «la
nazionalizzazione della natura italiana» (p. XIV), cioè il modo con cui la definizione del
paesaggio montano sia stato funzione della nazione, tanto quanto i vari aspetti dell’identità
nazionale (le «nazioni immaginate») si siano reciprocamente costituiti attraverso il
rapporto con le montagne, paradigma della natura selvaggia (le «nature costruite»).
La montagna prima ancora che un interesse estetico pare sollecitare così un bisogno
di bonifica e di addomesticamento, come emerge nel primo capitolo. Questi elementi
diventano, nel secondo capitolo, anche strutture portanti dell’atteggiamento verso il
paesaggio sociale (le «montagne ribelli», a partire dal brigantaggio) e la normalizzazione
delle sue tradizioni di vita comunitaria. Il terzo capitolo («montagne eroiche») concerne
la politicizzazione nella Grande guerra, cui nell’epilogo troviamo un seguito alternativo
nelle «montagne resistenti» fra 1943 e 1945. Il quarto capitolo infine si occupa di una
narrativa specificamente ambientale del fascismo, benché controversa.
Uno degli elementi più stimolanti del libro sta nell’idea che questo tipo di indagini
e ricerche storiche – all’interno di un dibattito internazionale ben evidenziato nel testo e
nella bibliografia – siano fertili in quanto «ibride», respingendo cioè un «approccio dicotomico
», «purista», che separi cultura e natura, narrazioni e territori. La natura non è vista
sotto l’aspetto discorsivo meramente culturalista: anzi, lo sforzo dell’a., più che «smaterializzare
» la natura nei canoni identitari nazionali, è quello di «materializzare» i discorsi su
di essa (p. XVII). Penso si possa dire che ci è ampiamente riuscito.

Pietro Causarano