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L’Einaudi in Europa 1943-1957

Tommaso Munari
Torino, Einaudi, 272 pp., € 28,00

Anno di pubblicazione: 2016

Tra i numerosi contributi pubblicati in questi ultimi anni sulla storia della casa editrice Einaudi e sul suo fondatore, il libro si segnala per il taglio innovativo e la ricchezza della documentazione. Molti studiosi infatti hanno sottolineato la funzione di sprovincializzazione della cultura italiana svolta dall’impresa einaudiana negli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale, ma l’a. conferma questa ipotesi corredandola con inediti dati d’archivio, dai carteggi con gli editori europei – francesi, inglesi, tedeschi – alle lettere con intellettuali e studiosi, da Franco Venturi a Cesare Cases a Vittorio Strada, che fungono da attivi mediatori tra culture e realtà diverse.
Interessante la consonanza tra Giulio Einaudi e il padre Luigi, che contro il «mito dello Stato sovrano» parla di federazione di popoli, premessa di pace. Interlocutori privilegiati sin dai primi anni del dopoguerra sono gli editori francesi, a cominciare da Gallimard e Albin Michel. Malgrado le speranze di Einaudi, il rapporto con Gallimard sarà sempre sperequato perché i francesi non sembrano disposti ad un effettivo scambio che comporti anche la valorizzazione degli autori italiani. Diverso il rapporto con Albin Michel, la cui collana «L’Evolution de l’humanité» confluisce in gran parte nella «Biblioteca di cultura storica» attraverso i buoni uffici di Venturi, dal 1946 consulente stabile dell’Einaudi.
Il quadro tracciato è quello di una sprovincializzazione faticosa, sia per i guasti operati dalla guerra – come evidenziano plasticamente le lettere dalla Germania divisa di Cesare Cases – sia per la censura: quella italiana che accusa ottusamente Il muro di Sartre, tradotto e diffuso in Italia nel 1946, di pornografia; e ancor di più quella sovietica, che rende quasi impraticabili i rapporti con gli intellettuali russi, malgrado l’impegno profuso dall’allora addetto culturale all’ambasciata italiana Franco Venturi. A questo proposito, l’a. ricorda la vicenda della pubblicazione del capolavoro di Pasternak, Il dottor Živago, ambìto fortemente da Einaudi ma poi edito da Giangiacomo Feltrinelli che riesce ad accaparrarsi attraverso mille traversie il testo e a pubblicarlo in prima edizione assoluta.
In verità, i conflitti non riguardano soltanto i rapporti con istituzioni estere, ma attraversano la stessa casa torinese, nella quale convivono differenti anime: quella comunista fedele al Pci più folta, quella azionista di Ernesto Rossi, e infine quella cattocomunista rappresentata da Felice Balbo. Il rapporto con il Pci, sempre complicato come dimostrano i contrasti tra Vittorini e Togliatti a proposito del «Politecnico» (che danno luogo alla chiusura del periodico alla fine del 1947) si farà drammatico con la repressione sovietica della rivolta d’Ungheria, che porterà all’uscita dal partito di Calvino, Giolitti e altri. Non sarà l’unico scossone subito da Einaudi in quegli anni: a causa di una grave crisi finanziaria – per la verità costante anche nei decenni successivi – l’editore deve affrontare una ricapitalizzazione e la trasformazione, suggerita da Raffaele Mattioli, in società per azioni.

Maria Iolanda Palazzolo