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Lelio Basso, leader globale. Un socialista nel secondo Novecento

Giancarlo Monina
Roma, Carocci, 439 pp., € 39,00

Anno di pubblicazione: 2016

Il libro prosegue e conclude la biografia avviata dal volume di Chiara Giorgi, Un
socialista del Novecento (2015). Entrambi, ma soprattutto questo, si avvalgono dell’imponente
archivio personale conservato presso la Fondazione Basso (gli oltre 25 mila pezzi
della corrispondenza ne costituiscono una minima parte).
Irregolare della politica italiana perché tetragono per natura alla logica di trasformazione
clientelare del proprio seguito intellettuale in corrente organizzata del Psi, Lelio Basso
deve l’aggettivo del titolo (forse costruito con un eccesso di odierno «senno del poi»)
a una pratica, non comune tra gli uomini politici italiani, di intense e durature relazioni
internazionali. Sbocco finale di questo impegno – maturato fin dal viaggio in Vietnam
della delegazione del Tribunale Russell nel 1966 (p. 275) – è nel 1979, lo stesso anno della
sua morte, il Tribunale permanente dei popoli: un tentativo di elaborazione dei diritti
umani sul piano collettivo, destinato almeno finora a non trovare grande seguito.
Il concetto novecentesco di popolo, infatti, rappresenta il nucleo di pensiero socialista
cui Basso rimane più coerentemente fedele, anche grazie alla propria e peculiare
– ma nel Sessantotto non così isolata – predilezione per Rosa Luxemburg e la sua visione
consiliare dell’autogoverno comunista (pp. 251 e 257). Di qui Basso trae un’idea della
politica «dal basso» contraria alle alchimie di palazzo (in particolare quelle legate all’apertura
a sinistra e alla fase governativa di centrosinistra), e quindi la lotta al capitalismo
dei monopoli ma anche l’opposizione allo stalinismo, nonostante episodiche celebrazioni
filosovietiche di viaggio (p. 99).
Lucida e preveggente è la sua lettura della divergenza tra marxismo e leninismo (p.
127). E non per caso il maggior periodo di eclisse dalla scena politica (all’inizio degli
anni ’50) coincide con la fase più acuta della guerra fredda. L’altra più importante eredità,
la rivista «Problemi del socialismo» pubblicata dal 1958, riconduce direttamente alla sua
fisionomia di studioso marxista, capace di coniugare la formazione giuridica – che lo porta
a battaglie memorabili nei «processi contro la Resistenza» (p. 93), compresa la difesa dei
minatori dell’Amiata mobilitati dopo l’attentato a Togliatti del 1948 – con l’attenzione,
più che alle trasformazioni sociali del proprio paese, al processo di decolonizzazione e alla
lotta antimperialista (p. 167).
Il giudizio sulla Dc rimane in larga misura quello laicista pregiudiziale, che spesso
impedisce di vedere – non solo a Basso, nella sinistra italiana – le reali radici di consenso
del partito cattolico. Che però si combina fino dal 1956 con un impegno particolare nel
dialogo con i cattolici (p. 142) e con una lettura coerente negli anni dei limiti della democrazia
italiana riassunti dal distacco tra Stato e società civile (pp. 105 e 152). La sua prospettiva
di «alternativa democratica» (p. 104) formulata all’indomani del 1956 racchiude
insieme questi punti di riflessione e sottende in modo lineare le diverse tappe della sua vita
politica, dalla scissione del Psiup alla confluenza nella Sinistra indipendente.

 Giovanni Gozzini