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Les mondes de l’industrie. L’Ansaldo, un capitalisme à l’italienne

Alain Dewerpe
Paris, Éditions EHESS-École Française de Rome, 628 pp., € 29,80

Anno di pubblicazione: 2017

Scomparso nel 2015, Alain Dewerpe, professore dell’École des Hautes Études en Sciences Sociales, ha dedicato sin dagli anni ’80 la sua attenzione alla storia economica e sociale dell’Italia nel periodo lungo della sua industrializzazione. Sulla storia dell’Ansaldo, alle carte del cui archivio l’a. ha attinto a piene mani, egli aveva già prodotto vari contributi pubblicati su «Studi storici», «Annales», «Le Mouvement Social» oltre che nei volumi editi da Laterza sulla storia dell’Ansaldo. In questa sede, con un rigoroso lavoro di editing, i suoi amici e colleghi rendono disponibili postumi i materiali da Dewerpe preparati per un saggio d’insieme su temi precedentemente trattati in modo specifico nei lavori già editi.
L’arco cronologico considerato è ampio e molteplici sono le prospettive di analisi proposte e suggerite. «Suggerite» perché il carattere dell’opera offre ai lettori e ai ricercatori abbondanti materiali d’archivio utili per la comparazione e per la costruzione di visioni complessive delle trasformazioni della società italiana e del mondo della fabbrica. Si parte dalla metà dell’800 per giungere agli anni ’20 del XX secolo: dalla fondazione dell’Ansaldo in età cavouriana alla costituzione dell’Iri. Diversi sono i fils rouges che l’a. segue.
Dewerpe guarda agli spazi fisici dove si muovono le persone, dove si lavora: gli spazi urbani di una città che si industrializza e, soprattutto, gli spazi delle officine che ospitano le macchine, in cui si svolgono processi produttivi condizionati dalle caratteristiche fisiche degli spazi. Egli riprende poi l’analisi della composizione, mutevole nel tempo, della forza lavoro, inserendosi in un filone di ricerca che guardando ai libri matricola e ad altre fonti d’archivio, ha permesso di avere una descrizione del proletariato industriale italiano meno stereotipata e più aderente a una variegata realtà. Questi operai, i metallos dell’Ansaldo, sono a loro volta un insieme non omogeneo: un peso rilevante assumono gli specializzati e, per quanto riguarda le gerarchie d’officina, i capi. I diversi gruppi professionali seguono le loro logiche, difendono i propri interessi e la propria autonomia rispetto a politiche aziendali che, soprattutto a partire dai primi anni del ’900, con sempre maggiore insistenza ma con scarsi risultati, cercheranno di affermare un ordine di impresa determinato dall’alto e «scientificamente» motivato. Gli imprenditori sono dunque gli altri protagonisti della storia, visti non sotto il profilo delle biografie (che pure non sono mancate) ma del loro disegno di modellare la fabbrica e di costruirne l’immagine, di rappresentarla in una narrazione industrialista e nazionalista. Il gusto per la microstoria si unisce alla volontà di misurarsi con i grandi temi dello sviluppo industriale italiano. Richiamare nel titolo «un capitalisme à l’italienne», con il prudente e obbligato uso dell’articolo indeterminativo, ci rimanda dal micro al macro costringendoci a esercitare sino in fondo il nostro mestiere di storici.

Marco Doria