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Lettere dal carcere

Nelson Mandla
Milano, Il Saggiatore, 812 pp., € 26,00

Anno di pubblicazione: 2018

«A differenza di carcerati che avevano commesso reati “comuni” come stupro, rapina e aggressione, ai prigionieri politici veniva assegnato il grado D, il più infimo. Era loro consentito un solo visitatore ogni sei mesi e il diritto di scrivere e ricevere una sola lettera di cinquecento parole ogni sei mesi» (p. 13). Per buona parte dei 27 anni, 3 mesi e 4 giorni, tra il 1962 e il 1990, in cui Nelson Mandela fu prigioniero politico del regime sudafricano durante l’apartheid, dovette sottostare a questo genere di restrizioni, aggravate dalla costante e asfissiante censura che con ogni pretesto bloccava la corrispondenza.
Le missive pubblicate da Venter sono frutto di un lavoro di ricerca durato dieci anni in archivi, collezioni e depositi pubblici e privati. Non soltanto compongono un diario della detenzione, ma testimoniano della personalità dell’uomo che ha lanciato con intelligenza e capacità – Mandela era avvocato – una sfida di lungo periodo al regime razzista. Consapevole che nei suoi confronti veniva attuata una strategia di isolamento volta «a farmi disperare, perdere ogni minima speranza, stroncarmi» (p. 14), Nelson ha resistito, continuando a invocare il rispetto di quei diritti minimali che sulla carta dovevano essergli garantiti. Se la maggior parte delle missive pubblicate sono rivolte a familiari, il secondo gruppo più consistente è composto da messaggi rivolti all’amministrazione carceraria, ai responsabili del paese, al ministro della Giustizia.
Mandela deve combattere per qualsiasi cosa, dall’ottenimento dell’autorizzazione per una visita oculistica, al nulla osta per ricevere dall’Inghilterra un testo necessario a preparare un esame universitario. I momenti drammatici sono molti: «Il 1968 & il 1969 sono stati anni difficili e duri per me. Ho perso mia madre solo 10 mesi fa. Il 12 maggio, mia moglie è finita in stato di fermo a tempo indefinito in base al Terrorist Act, lasciando di fatto orfane delle bambine in tenera età & ora il mio figlio maggiore se n’è andato per sempre» (p. 174).
Le persecuzioni e le violenze nei confronti della moglie Winnie, le cui condizioni di salute erano precarie, è uno dei motivi che generano angoscia in Nelson, che ignora se i periodi di silenzio, nei quali non riceve notizie, si debbano alla malattia o alla censura. Mandela non nasconde la sofferenza, ma continua a testimoniare la propria deter- minazione: «Sono convinto che ondate di disastri personali non possano mai soffocare un rivoluzionario determinato, così come non lo può fare il fardello di tribolazioni che accompagna una tragedia. La speranza per chi lotta per la libertà è come una cintura di salvataggio per un nuotatore: garantisce di restare a galla e mantenersi a distanza dal pericolo» (p. 251).
Nonostante la corposità del volume, la lettura delle missive, oltre al valore storico che rivestono, risulta appassionante, agevolata dalle puntuali e numerose note del curato- re che aiutano anche il lettore meno esperto della realtà sudafricana a seguire e conoscere la storia dell’apartheid e di un uomo simbolo della lotta per la libertà nel ’900.

Stefano Picciaredda