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Levatrici. L’assistenza ostetrica nell’Italia liberale

Rosanna Basso
Roma, Viella, 352 pp., € 28,00

Anno di pubblicazione: 2015

L’interesse della storiografia italiana per la storia dell’assistenza ostetrica ha avuto un an- damento altalenante. Meno attenti dei modernisti, gli studiosi dell’età contemporanea hanno dedicato al tema pochi studi e sporadicamente specifici. Tra le rare eccezioni, i lavori di Lilia- na Lanzardo sulle ostetriche condotte e quelli di Nancy Triolo sull’area siciliana.
Il volume di Rosanna Basso è, dunque, un approfondimento e una sistematizzazione utile e ricca di interesse tanto più che l’a. sceglie di concentrarsi sulla fase liberale, in cui si col- loca il «processo di costruzione della moderna fisionomia della professione ostetrica» (p. 10). Nel momento in cui nuove acquisizioni e applicazioni della medicina determinano pro- fondi cambiamenti nei protocolli ostetrici e una conseguente rivoluzione della scena del parto
– imponendo igiene e un’inedita attenzione all’asepsi – si assiste a una diretta azione dello Stato che incide sull’assetto del servizio ostetrico nazionale. A partire dalla precoce istituzione nel 1865 di una norma che prevede un (malfunzionante) servizio ostetrico per i poveri in ogni comune del Regno. Nello stesso tempo si procede al riordino delle scuole di ostetricia con due regolamenti successivi, uno del 1876 e l’altro del 1910.
Il volume fornisce una ricostruzione, corredata di un approfondimento relativo al caso di Terra d’Otranto, articolata e puntuale di questa fase anche se non sempre appare messo a fuoco il ruolo cruciale che la salute riproduttiva – e quindi le ostetriche – hanno avuto nel processo di progressiva riclassificazione del binomio pubblico/privato decisivo per la costru- zione della cittadinanza liberale.
L’a. si concentra anche sull’intensa creazione di associazioni di levatrici, sul loro ruolo nell’affermazione di un’immagine di modernità delle nuove diplomate, e non trascura il rap- porto complesso e ambivalente con i medici e i chirurghi.
Tuttavia la pretesa modernità e l’affermazione di una professionalità, che si vorrebbero collegate al nuovo profilo del mestiere e del ruolo, non oscura la più dirimente delle questio- ni ovvero l’assoluta e peculiare eterogeneità delle levatrici italiane. L’a. ritiene, in maniera del tutto condivisibile, che dietro al termine omologante di levatrice si celi «un inganno» che mette «a repentaglio la leggibilità stessa della realtà da mettere a fuoco» (p. 15). È un assunto sempre valido per un mestiere ricchissimo di implicazioni, ma particolarmente pertinente in una fase contrassegnata da una così dinamica evoluzione. Le levatrici in età liberale sono un gruppo sociale stratificato in quanto a formazione, situazioni lavorative, condizioni di reddito e di vita. Opportunamente il volume rimanda un’immagine comples- sa e diseguale e non elude alcuni nodi particolarmente controversi come la preferenza delle famiglie per le abusive.
Un quadro che si sarebbe arricchito di ulteriori complessità se, nell’affrontare la va- rietà di prestazioni offerte, si fossero maggiormente indagate anche le questioni legate alle pratiche di controllo della riproduzione o all’interruzione delle gravidanze spesso ancora testardamente intese come forme di assistenza e di cura della salute delle donne.

Alessandra Gissi